Le ultime settimane sono state molto attive per la politica estera in Medio Oriente: vecchi equilibri internazionali si sono rotti, mentre altri già vi si sostituiscono; tutto all’ombra della crescente conflittualità che caratterizza il mondo post-Covid. La notizia principale riguarda la ripresa dei rapporti diplomatici tra Iran e Arabia Saudita mediata dalla Cina, una notizia di pace in una regione troppo spesso visitata dalle guerre.
Lo scontro per la supremazia mediorientale tra Iran e Arabia Saudita
L’Iran, uno dei Paesi con maggiori riserve di gas e petrolio al mondo, è ormai un paria internazionale: le pesanti sanzioni imposte dagli Stati Uniti sono riuscite a limitare enormemente le potenzialità economiche della Repubblica Islamica, ma, anziché far crollare il potere degli Ayatollah, questo ha spinto il Paese ad una maggiore attività regionale, estendendo enormemente l’influenza iraniana su Iraq, Siria e Libano.
Dall’altro lato, l’Arabia Saudita, sotto la guida del principe Mohammed Bin Salman, ha promosso enormi investimenti per alleggerire l’economia del Regno dalla dipendenza dal petrolio; investimenti che puntano anche a rafforzare l’immagine e la posizione dell’Arabia Saudita in Medio Oriente e nel mondo.
È chiaro che queste due tendenze sarebbero arrivate a scontrarsi, come è effettivamente successo dall’inizio degli anni’10, in conflitti per procura in Siria (ribelli finanziati dai sauditi contro Assad e gruppi paramilitari filo-iraniani) e nello Yemen (governo filo-saudita contro i ribelli Houthi sciiti alleati dell’Iran).
Lo scontro è poi esacerbato dalle tensioni religiose: i due Paesi sono sostenitori di visioni diverse e antitetiche dell’Islam, usate come supporto ideologico per gli scontri di supremazia regionale.
Il calo dell’influenza americana sul conflitto Iran-Arabia Saudita
Dopo le costose guerre “petrolifere” in Iraq, la scoperta di enormi riserve di petrolio negli Stati Uniti ha fatto calare enormemente l’attenzione del Paese in Medio Oriente, il che ha progressivamente anche ridimensionato la “War on Terror” (la guerra contro il terrorismo).
Gli Usa hanno, poi, perso enorme credibilità con una serie di mosse avventate: il ritiro nel 2018 di Trump dal JPCOA (trattato del 2015 volto a bloccare il programma nucleare iraniano) ha reso difficile qualunque successiva mediazione con l’Iran, come anche il raid contro il generale Solemaini, mentre la fuga dell’esercito americano dall’Afganistan ha eroso la fiducia degli alleati locali.
Inoltre, nonostante rimangano i principali alleati arabi degli USA, i sauditi non hanno apprezzato le critiche dell’amministrazione americana per l’omicidio del giornalista Khashoggi (poi risoltesi in un nulla di fatto) e lo scarso sostegno nella guerra in Yemen (dove miliardi di dollari di armi statunitensi non sono riuscite a spezzare la resistenza dei ribelli).
E il disinteresse degli Usa non ha fatto che aumentare con le crescenti tensioni con Cina e con la guerra in Ucraina: un ottimo spiraglio per l’inserimento di una nuova potenza in Medio Oriente.
La pax-cinese in Medio Oriente
Una particolarità dell’ascesa a potenza globale della Cina, sempre osservata dagli analisti, è la sua scarsa tendenza ad intervenire nella politica internazionale: dagli ultimi anni del potere di Mao, la diplomazia della Repubblica Popolare Cinese si è sempre più concentrata sullo sviluppo di rapporti economici con potenziali partner commerciali, trascurando la creazione di zone di influenza o di alleanze militari.
Nell’ultimo periodo, però, le crescenti tensioni con gli Stati Uniti hanno spinto la Cina verso una maggiore assertività sulla scena della diplomazia globale, soprattutto allo scopo di garantire le proprie linee di rifornimento energetiche; in questo contesto si colloca l’accordo.
Venerdì 10 marzo, a Pechino, alla presenza di Wang Yi (ex- ministro degli esteri e capo della diplomazia cinese), i due segretari dei Consigli di Sicurezza Nazionale Ali Shamkhani (iraniano) e Musaad bin Mohammed al-Aiban (saudita), si sono impegnati a riaprire le rispettive ambasciate entro due mesi, a 7 anni dalla chiusura.
Può non sembrare molto, ma, con la de-escalation nella retorica dei due regimi, sembra ci siano buone basi per l’inizio di una fase di rapporti pacifici tra i due Paesi.
Secondo vari analisti, tutte e tre le parti in gioco hanno interesse in una maggiore stabilità nella regione: i cinesi hanno bisogno di garantire i flussi di petrolio e gas naturale per alimentare la propria ripresa economica, gli iraniani sono troppo minacciati da Israele per combattere su un doppio fronte e i sauditi hanno bisogno di stabilità per portare avanti riforme ed investimenti.
Indipendentemente dalle validissime critiche che si possono muovere contro i due Paesi, c’è da sperare che, per una volta, in Medio Oriente si riesca ad avere un po’ di pace, anche se solo grazie al banale interesse economico e non alla buona volontà delle parti.