Affinché un lavoro sia allettante, non basta più che garantisca flessibilità, una buona retribuzione e la possibilità di fare carriera. Deve anche avere un impatto positivo sulla società e sull’ambiente. E, quando non è così, i dipendenti sono disposti a licenziarsi. E le dimissioni di coscienza sono sempre più diffuse. Pertanto, In Italia il 33% dei lavoratori pensa di lasciare il proprio posto di lavoro entro un anno perché scontento, e quasi la metà ha avviato il “Quiet quitting”: fa il meno possibile.
In questo scenario, mentre si sente parlare da anni di fuga dei cervelli e il personale molto formato è sempre più richiesto e propenso a cambiare, in cerca dell’ambiente di lavoro ideale, il Global Re:work Report 2023 di Kelly, l’indagine promossa dalla società internazionale di head hunting, analizza i profili degli impiegati ad alto valore che decidono di restare. Nel 2022 risalgono anche i licenziamenti: nell’intero anno, sempre sulla base dei dati delle comunicazioni obbligatorie, risultano oltre 751 mila, in aumento del 30,2% rispetto ai 577 mila del 2021, periodo in cui era però in vigore il blocco, deciso durante la pandemia.
La ricerca
Fra gli scontenti, in prima fila ci sono i lavoratori altamente specializzati: sono più propensi a cambiare proprio perché consapevoli di essere più spendibili. Secondo lo studio, il 27% dei lavoratori italiani coinvolti nell’indagine dichiara che un carico di lavoro elevato ha un impatto negativo sul benessere mentale.
Oltre la metà (54%) afferma di provare un senso di appartenenza alla propria azienda attuale e il 53% dice di lavorare in un ambiente psicologicamente sicuro, rispetto ad appena il 12% di coloro che sono alla ricerca di una nuova opportunità.
I Dedicated performer europei danno la priorità alle opportunità di sviluppo delle competenze (35%), alla progressione di carriera (33%) e a un buon equilibrio tra lavoro e vita privata (27%).
L’impegno dell’organizzazione nei confronti delle diversità, equità e inclusione può avere un impatto significativo sulla capacità di rimanere nell’azienda: i Dedicate performer italiani affermano che i loro datori hanno comportamenti inclusivi nel 33% dei casi.
Intelligenza artificiale e l’automazione
Circa il 55% dei lavoratori europei ha affermato di lavorare in team sotto staff, e ciò inficia sulla capacità di raggiungere gli obiettivi aziendali. In Italia questo fenomeno è particolarmente diffuso, con il 59% dei lavoratori che subisce il tema. Infine, l’intelligenza artificiale e l’automazione in generale stanno cambiando il modo di operare e la maggior parte dei lavoratori europei ne vede i vantaggi per l’azienda: il 67% dei talenti italiani afferma che l’Ai sarà d’aiuto per le performance aziendali. Tuttavia, il Italia solo il 40% ritiene che sia un bene per i dipendenti.
I fattori che favoriscono le dimissioni
Ciò che mette sotto pressione i lavoratori è la carenza di personale: il 55% dei lavoratori europei afferma che i loro team si trovano ad affrontare problemi di risorse che incidono sulla loro capacità di raggiungere gli obiettivi aziendali ogni 1 o 3 mesi. Guardando nel dettaglio, in Italia questo fenomeno è particolarmente sentito, con il 59% dei lavoratori che subisce questa problematica, seguita da Francia (58%) e Portogallo (48%). Ma in Germania addirittura si arriva a toccare quota 65%.
Poi, l’automazione e l’AI stanno cambiando il volto del lavoro e la maggior parte dei lavoratori europei ne vede i vantaggi per l’azienda; il 69% afferma che sta avendo un impatto positivo sulle prestazioni aziendali. Dati che rimangono perlopiù allineati anche nei singoli Paesi europei, dove il 67% dei talenti italiani afferma che l’AI sarà d’aiuto per le performance aziendali, 70% per quelli francesi e portoghesi, 63% per quelli tedeschi.
Tuttavia, a livello europeo solo il 39% ritiene che sia un bene per i dipendenti, percentuale che sale in Italia al 40% e Germania al 47%, mentre in Francia e Portogalli si attesta rispettivamente al 35% e 39%.