Block: «La mia musica vuole toccare i posti più profondi in cui l’essere umano può arrivare»
Dint’ all’underground si possono trovare artisti incredibili che non riescono a trovare lo stesso successo di quei “colleghi” che, invece, si affidano ai talent o alle major discografiche. Lo sa bene Giovanni Block, cantautore napoletano, o meglio cantacompositore – come ama definirsi – in quanto il titolo di cantautore porta a generalizzazioni troppo vaste, mentre lui non solo scrive il testo e la musica, ma anche gli arrangiamenti e le orchestrazioni delle sue canzoni.
Veniamo ospitati a “Il Parco”, lo studio di registrazione di Ninni Pascale, nel quale Giovanni lavora (ebbene, è anche produttore discografico). Mentre strimpella la chitarra, dalla quale proprio non riesce a staccarsi, ci racconta della sua gavetta, dagli inizi come flautista alle partecipazioni a Festival e rassegne di canzone d’autore dove riceve vari premi tra cui il prestigioso Tenco come migliore autore emergente: «avevo la possibilità di scegliere tra fare i talent e continuare a studiare musica, ho scelto la seconda strada perché il mio mestiere è come quello dell’artigiano, c’è bisogno di studio accurato per poter fare un lavoro completo – afferma con orgoglio – intanto ho iniziato a capire internet, quando le sue potenzialità erano ancora poco conosciute, imparando ad autoprodurmi».
Nel girare l’Italia nota la triste verità per la quale un artista meridionale deve per forza andare al nord per trovare uffici stampa che lo sostengano e situazioni che permettano agli artisti di incontrarsi e conoscersi. Così decide di fondare 5 anni fa il Be Quiet, un collettivo di cantautori da tutta Italia, che si riunisce una volta al mese; si realizza allora il sogno di una tavolata permanente di artisti, senza protagonismi, che dalle cantine del Vomero è riuscita ad arrivare al Teatro Bellini. «Siamo partiti in tre e siamo arrivati a duecento – ci spiega – anche quest’anno siamo in cartellone una volta al mese con un nostro artista al Bellini, una realtà illuminata che ha creduto in noi e che abbiamo ripagato con continui sold out». Tuttavia troviamo un Giovanni sfiduciato e amareggiato per il clima musicale napoletano, in cui permane quella mentalità malata che tende a privilegiare l’egocentrismo a discapito della cooperazione.

È in SPOT – Senza Perdere ‘O Tiempo, l’ultimo album uscito circa un anno fa, in cui Giovanni Block si mette a nudo, «mancava solo che mettessi in copertina la mia foto in mutande – ironizza il cantampositore che ci racconta il suo modo di intendere la musica – l’artista è colui che va in direzione ostinata e contraria, mentre ora si va dove sta il mercato. Manca il coraggio». SPOT si presenta infatti come un album vero, che vuole “toccare i posti più profondi in cui l’essere umano può arrivare”. Per questo ambito fine utilizza esclusivamente il dialetto napoletano, con poeticità ed eleganza ma allo stesso tempo energico, dissacrante. «È stato il mio modo di raccontare Napoli, una Napoli un po’ grigia, metropolitana, che puoi ritrovare anche in altre città. Non è la Napoli degli estremi, ma quella normale poiché non sono un napoletano che vuole mangiare sui luoghi comuni di questa città».
Dunque un album che parte da Napoli per arrivare in tutto il mondo, senza filtri. Nella musicalità si sente fortemente l’influenza dei ritmi di quella Napoli anni ‘80 di Pino Daniele e Napoli Centrale, ma in maniera originale, una sorta di Napolitan Power 2.0 che si fonde con la sperimentazione ora di musica classica e archi orientali, ora del ritmo della taranta, ora della ballata. «La napoletanità dà una marcia più – conclude Giovanni Block – il napoletano è abituato a uno stimolo continuo dovuto alla dinamicità del confronto delle realtà più diverse. Per questo il nostro livello d’ansia è più alto, ma un’ansia che ti porta energia, ed io cerco di metterla tutta nella mia musica».
di Fulvio Mele
Foto di Gabriele Arenare
Tratto da Informare n° 173 Settembre 2017
