Nasce a Palermo Gaspare Spatuzza, U Tignusu (Il pelato), l’8 aprile 1964. Lunga militanza nella criminalità organizzata che lo vede rapinatore, prima, e sicario, poi, nelle fila della “Famiglia di Brancaccio”, guidata dai fratelli Graviano. La sua carriera lo ha visto protagonista di crimini che hanno avuto un posto di rilievo nella storia delle mafie e dell’Italia. Il 19 luglio 1992 rubò la Fiat 126 impiegata come autobomba nella strage di via D’Amelio. Il 15 settembre 1993, poi, fu tra gli esecutori materiali dell’omicidio di don Pino Puglisi, per il quale fu condannato all’ergastolo con sentenza definitiva. Il 23 novembre, rapì Giuseppe Di Matteo, ucciso ad appena quindici anni, dopo oltre due anni di prigionia.
Condannato, inoltre, per altri 40 omicidi, tra cui quelli di Giuseppe e Salvatore Di Peri, Marcello Drago, Salvatore Buscemi e Domingo Buscetta, dopo l’arresto nel 1997 presso l’ospedale Cervello di Palermo, Spatuzza fu condannato all’ergastolo per le bombe del 1993 di Roma, Firenze e Milano e per l’omicidio di don Puglisi, nonché a 12 anni per il sequestro Di Matteo.
I molteplici volti di Gaspare Spatuzza: da stragista a pentito
Spatuzza ha scontato undici anni in regime di carcere duro, fino all’estate del 2008, quando il suo percorso di pentimento è sfociato nella decisione di diventare collaboratore di giustizia. La conversione umana e il riconoscimento delle colpe per cui ha chiesto perdono alle vittime è coinciso con un cammino di conversione religiosa che lo ha portato addirittura ad iscriversi alla facoltà di Teologia. Le sue dichiarazioni hanno fornito ai magistrati informazioni sulla strage di via D’Amelio, alle bombe del 1993 a Milano, Firenze e Roma e ai legami tra magia e mondo politico-imprenditoriale. Il 4 novembre 2009 ha deposto nell’ambito del processo d’appello al senatore Marcello Dell’Utri. In quella circostanza ha dichiarato che nel 1994 la stagione delle bombe si fermò perché Giuseppe Graviano, a capo della “Famiglia di Brancaccio”, gli confidò di aver ottenuto tutto quello che voleva, grazie all’aiuto di Dell’Utri e, tramite lui, di Silvio Berlusconi, secondo il quale la deposizione del pentito non era altro che parte di una macchinazione ai suoi danni.
La liberazione condizionale
A 59 anni, 26 dei quali trascorsi tra carcere e domiciliari, Gaspare Spatuzza ha ottenuto la liberazione condizionale. Da due settimane U Tignusu non ha più i vincoli della detenzione domiciliare a cui era sottoposto dal 2014. La decisione è arrivata dopo che la Cassazione, nell’aprile scorso, aveva annullato con rinvio l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Roma che aveva negato la liberazione condizionale. La stessa Sorveglianza, ora, si è pronunciata nuovamente, con esito positivo, su parere favorevole delle procure antimafia interpellate. Per cinque anni, comunque, dovrà osservare alcune prescrizioni, tra cui non frequentare “abitualmente” pregiudicati e non uscire dalla provincia in cui abita senza autorizzazione.
Gaspare Spatuzza libero: un pentito convertito o un criminale che non ha pagato?
Nelle settimane in cui tiene banco anche la vicenda Cospito e il conseguente dibattito su ergastolo ostativo, 41 bis e gli schieramenti pro e contro la probabile condanna della Corte d’Assise di Torino, come accoglierà l’opinione pubblica la liberazione di un killer e stragista? Il Paese dovrebbe essere soddisfatto del suo pentimento, della sua collaborazione con la giustizia e della sua riammissione alla società da persona pentita o cova il malessere perché egli non ha pagato abbastanza per i crimini compiuti?
Il parere dei parenti delle vittime
Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, intervistato da Adkronos sostiene che “è giusto che lo Stato rispetti i suoi patti. Se una legge dello Stato concede benefici a chi collabora con la giustizia, è giusto che Spatuzza sia stato rimesso in libertà”. A fare la differenza, secondo Borsellino, non è la semplice applicazione della legge, però, ma il fatto che quello di U Tignusu, “non è solo un percorso di collaborazione con la giustizia per avere sconti di pena, ma un vero ravvedimento interiore”.
Dello stesso avviso anche Franco Puglisi, fratello di don Pino Puglisi, che ha avuto modo di toccare con mano quel ravvedimento personale: “l’incontro con il killer che chiedeva perdono ha cambiato anche me. Mi sono sentito liberato, sollevato da un peso”. Dopo dieci anni di carcere duro, Spatuzza scrisse una lettera ai parenti del sacerdote ucciso nel ’93: “All’inizio ero perplesso, titubante, ma ero curioso di conoscere questa persona che scriveva di aver fatto un percorso di pentimento rispetto al passato da mafioso. Accettati di vederlo dopo alcuni mesi di riflessione. Era diverso da come appariva nelle immagini delle televisioni e dei giornali. Era commosso, mi sembrava davvero addolorato per quello che aveva fatto. Capivo che le sue parole erano espressione di una macerazione interna aiutata dal cappellano del carcere dov’era rinchiuso. Più volte richiamava brani della Bibbia. Diceva che la lettura del Vangelo lo aveva trasformato. Non ho avuto l’impressione si trattasse di una impostura. Adesso nei suoi confronti non ho alcun rancore. Se lui si è pentito veramente, sarà stato perdonato da Dio e se è così perché dovrei condannarlo io?”.
Né festa, né indignazione: consapevolezza!
È chiaro che l’argomento è delicato e schierarsi da una parte o dall’altra sembra quasi banale, per quante sfumature sono da tenere in considerazione sul tema. Probabilmente la verità è che la società civile non debba né festeggiare, né indignarsi per la liberazione di Spatuzza, ma debba assumerne consapevolezza.
La liberazione di Spatuzza ci dice delle cose, ci comunica dei messaggi che vanno al di là del caso Spatuzza stesso. Il carcere può e DEVE tendere alla rieducazione del condannato, come previsto dall’art. 27 della Costituzione, prepararlo al suo reinserimento nella società. Una rieducazione, una conversione umana che può avvenire e che può essere fondamentale per la lotta alla criminalità organizzata.
Certo, la parte umana che esula da come uno Stato debba comportarsi per tenere ordine al suo interno, potrebbe avere difficoltà ad accettare che chi ha compiuto stragi, oltre 40 omicidi e rapimenti, debba ora riassaporare la libertà, in nome di un pentimento che porterà inevitabilmente dei sospetti, dei dubbi, ma la legge, le istituzioni che devono regolare gli equilibri della società, devono partire da presupposti e porre attenzione su parametri diversi. Punizioni esemplari per gli attori di una criminalità organizzata che è protagonista della storia di questo Paese, ma opportunità, possibilità da offrire a chi decida di cambiare vita, di riconoscere i propri errori e di schierarsi dalla parte di chi prova ad estirpare uno dei mali più dolorosi per la nostra Italia.
E tu? Cosa ne pensi?