La crisi bielorussa si è aperta ufficialmente il 9 agosto 2020 quando, in occasione delle ultime elezioni, Alexander Lukashenko è stato inaspettatamente riconfermato presidente, nonostante l’enorme consenso maturato dalla leader dell’opposizione Svetlana Tikhanovskaya. Sospettando i brogli elettorali (poi confermati, tant’è che la posizione di Lukashenko non è stata legittimata dall’UE), i cittadini si sono uniti nella lotta contro il regime repressivo del Presidente, “l’ultimo dittatore d’Europa”.
Hanno così avuto inizio le proteste pacifiche, durate per mesi, in cui fiumi di persone inondavano le città bielorusse, sfoggiando i colori della “lotta”, bianco e rosso, in segno di profonda disapprovazione contro le nefandezze del proprio governo. Ben presto, il regime ha risposto con ingiustificata violenza: i fiori del cambiamento sono stati schiacciati dalle armi della repressione, le marce silenziose rotte da torture e percosse.
La situazione attuale, in Bielorussia, è critica: l’opposizione politica è annientata, la libertà di stampa abolita, come dimostrano le numerose condanne a carico dei giornalisti, e il diritto di parola, di opinione, di associazione, sono di fatto criminalizzati. «I colori della protesta sono stati vietati» spiega Alina, una delle donne di Supolka, associazione bielorussi in Italia; «l’altro giorno indossavo una mascherina bianca e rossa, in metro, e ho pensato che se fossi stata in Bielorussia sarebbe bastato questo per arrestarmi». Come Roman Bondarenko, un giovane pittore che per difendere dei nastri bianchi e rossi è stato caricato su una camionetta e non è più tornato a casa, perché picchiato a morte.
Cosa è cambiato quindi dopo 7 mesi di proteste?
Le rappresentanti dell’associazione, a cui ho posto questa domanda, pensano qualche secondo prima di parlare, le guardo dallo schermo del pc, sono così tante le cose importanti da dire, poi una di loro prende parola: «In tutti questi mesi la lotta non si è mai fermata. Ma ha cambiato forma. Si è capito che bisognava agire sul fronte estero. Non ci sono più le marce pubbliche, la gente in piazza, se non piccoli gruppi, perché i rischi sono troppi. Le azioni violente della polizia sono indiscriminate, loro passano e portano via chiunque, anche anziani o minorenni e anche se non hai fatto niente, potresti passare anni in prigione».
Attualmente, infatti, i prigionieri politici, accusati di aver minato l’ordine pubblico, sono circa 300 e tra loro ci sono molti studenti, considerati sovversivi. Lara continua a spiegare: «In Bielorussia ci sono poche imprese private, le università, le scuole, le aziende, è tutto statale e quindi di Lukashenko. È facile controllare i lavoratori e capire chi non è dalla parte giusta. Tanti docenti universitari, ad esempio, sono stati licenziati perché hanno mostrato solidarietà agli studenti in protesta e contro gli arresti».
È il caso di una di loro, Evelina, che insegnava all’università. È in Italia da poco, parla solo russo, le altre la aiutano a tradurre, ci tengono alla sua testimonianza. «Ho creato un gruppo su Facebook per garantire le elezioni libere, già si prevedeva che ci sarebbero stati illeciti». Questo è bastato perché la sua vita fosse in pericolo. «Sono venuti a cercarmi a casa. Poi è arrivata la lettera di licenziamento all’Università, avevo turbato gravemente l’ordine pubblico». In Italia, Evelina ha creato una scuola online per insegnare la cultura, l’identità e la lingua bielorussa, che nel suo paese, paradossalmente, è osteggiata. Dalla Bielorussia (si dice Belarùs, mi spiegano) si fugge perché la vita è assoggettata al regime, non si esce per strada neanche per passeggiare, la gente ha troppa paura.
«Ecco, quindi, cosa è cambiato e perché. Adesso la lotta si è spostata verso il dialogo con gli altri paesi dell’Europa. Svetlana Tikhanovskaya, dalla Lituania, è pronta ad aprire le trattative con il governo, appoggiata dall’UE e dalla maggioranza dei cittadini. Per dimostrare quanti la sostengono, ora si può votare sulla piattaforma Golos ed esprimere il proprio consenso: dopo pochi giorni erano già più di 600.000 i voti. Tutto questo ci fa ben sperare».
Ma solo gli aiuti e le sanzioni comunitarie possono essere determinanti nella lotta alla tutela dei diritti e delle libertà che in Bielorussia sono stati annientati. «Spero che i cittadini europei, una volta conosciuta la nostra storia, siano solidali con noi. Se inaspriamo le sanzioni europee, il regime resterà senza risorse e sarebbe costretto a negoziare. Alcune università italiane, come quelle di Cagliari e di Padova, si stanno mobilitando per aiutare gli studenti detenuti in condizioni terribili nelle carceri, dove sono buttati a terra, senza neanche un materasso. Solo per aver espresso un pensiero contrario. L’unico aiuto concreto può venire solo da voi. Noi nel frattempo non ci arrendiamo».
Sorridono, il loro senso di unione è davvero sorprendente. «A volte mi sveglio di notte con lo stomaco attorcigliato» dice Tania «penso ai miei parenti lì, ho paura per loro. Alcuni li ho persi, allora non chiamo nessuno, mi abituo alla mancanza. Mi chiedo se ce la faremo, un giorno. E mi dico sì, ce la faremo, perché ora sappiamo di essere uniti».
di Lucrezia Varrella
TRATTO DA MAGAZINE INFORMARE NUMERO 216
APRILE 2021