Il Centro Fernandes, che è da sempre uno dei migliori esempi di integrazione a Castel Volturno, si distingue nuovamente per il progetto “corridoi universitari”. Un’iniziativa rivolta a studenti che titolari di protezione internazionale in Etiopia, Eritrea e in altri paesi dell’Africa. Il progetto è finalizzato a dare la possibilità agli studenti di concludere il loro percorso di studi universitari.
Sì, perché gli extracomunitari che cercano salvezza approdando sulle coste italiane in alcuni casi sono laureati o laureandi, costretti a lasciare i propri studi a causa delle emergenze che colpiscono i loro Paesi. Noi della redazione di Informare siamo stati al Centro Ferandes, per parlarvi dell’iniziativa con gli occhi di chi la vive in prima persona.
Abbiamo infatti intervistato Milena: una ragazza eritrea che si trova a Castel Volturno e sta concludendo i suoi studi all’Università Luigi Vanvitelli di Caserta, ateneo che ha fin da subito appoggiato l’iniziativa. Milena ha passato oltre un mese in un campo profughi etiope, con il sogno di completare con un master la sua laurea in farmacia. Per comprendere è riuscita nel suo intento bisogna analizzare il grande progetto dei “corridoi universitari”.
Cominciamo però dal Dottor Antonio Casale, Direttore del Centro Fernandes, che ci illustra i punti fondamentali del progetto.
«Il Centro Fernandes si occupa da sempre di accoglienza e integrazione dei migranti sul territorio di Castel Volturno. Per molti anni abbiamo lavorato sulla popolazione dal punto si vista dell’assistenza primaria, oggi ci siamo accorti che questa popolazione così numerosa di migranti aveva bisogno di un salto di qualità. All’interno della stessa comunità c’era bisogno di far emergere i talenti, le capacità. Dovevano diventare i protagonisti del loro riscatto e della possibilità di partecipare in maniera attiva al riscatto del territorio. Per fare questo dovevamo puntare in primis sulla loro di riqualificazione.
È così che qualche anno fa nasce il nostro centro studi. Mettendo a disposizione un’ala di questa struttura per creare dei miniappartamenti a disposizione degli studenti. Noi, come Caritas di Capua e come Centro Fernandes, abbiamo cominciato in maniera autonoma questo percorso. Poi la Caritas italiana e l’UNHCR hanno istituito i corridoi universitari. Cioè, insieme ai corridoi umanitari, questo particolare settore si occupa degli universitari che scappano dovendo lasciare carriere universitarie o professioni qualificate. Parlo di medici, farmacisti, insegnati e tanto altro. Abbiamo aderito a questo progetto e già dall’anno scorso ospitiamo due studenti provenienti dal campo profughi dell’Etiopia pur essendo eritrei. Uno è un medico e l’altra una farmacista, entrambi si stanno specializzando in biologia molecolare».
Ed è proprio con la ragazza laureata in farmacia che parleremo.

Ci parli un po’ di te?
«Mi chiamo Milena e vengo dall’Eritrea, un paese nel corno d’Africa. Sono nata nel 1994. Nel mio paese ho studiato dalla scuola primaria all’università, dove mi sono laureata. In seguito, ho lavorato per due anni come farmacista».
Ci puoi raccontare della tua esperienza nel campo profughi?
«Sono stata nel campo 45 giorni, ma altre persone ci sono state anche 3 o 4 mesi. Il campo profughi è il campo profughi, non è certo un Hotel. Devi condividere tutto con altre persone nella stessa situazione. È stata la prima volta lontano dalla mia famiglia e penso sempre a loro in queste situazioni particolari. Sicuramente non è facile, ma non è nemmeno un’esperienza così dura».
C’è un momento particolare del campo che ricordi?
«Il mio ricordo principale è legato alla distanza dalla mia famiglia. Sicuramente al tempo non ero una bambina, ma siccome ho vissuto tutta la mia vita con i miei cari mi comportavo come tale. Ho vissuto con diverse persone più giovani e più vecchie ma la cosa principale è che nel campo ho conosciuto la mia migliore amica. Quindi penso che il campo profughi mi abbia fatto un regalo».
Cosa stai studiando in Italia?
«Come già detto, ho la laurea in farmacia ma sto facendo il master in biologia molecolare. È un percorso che dura due anni».
Cosa ti ha spinto a prendere parte al progetto?
«Ho sempre desiderato essere la versione migliore di me. Per questo ho deciso di studiare farmacia e di diventare una biotecnologa. Quindi ottenere questa borsa di studio era il modo migliore per inseguire i miei sogni».
Che opinione hai del progetto?
«Posso dire che è una bellissima esperienza per ora, certo non è semplice passare da una tradizione e una cultura ad altre completamente differenti. Adattarsi in questo nuovo ambiente è certamente complesso. Per fortuna l’ospitalità del progetto e delle persone che ne fanno parte aiuta molto il passaggio».
Cosa si prova a lasciare le proprie radici per affrontare un viaggio così complesso?
«È molto più difficile di quello che si può immaginare. Ho lasciato tutto: la mia famiglia, la mia vita, i miei amici. In sostanza tutto quello che mi apparteneva fino a quel momento».
Il tuo futuro professionale lo vedi in Italia o in Eritrea?
«Non posso dirlo ora. Non so dire se in futuro vorrò essere in Italia o nel mio paese. Il mio avvenire è legato strettamente a ciò che sceglierò di fare come lavoro. Penso che quello che sceglierò sarà il paese dove sarà più facile migliorare me stessa. Ovviamente voglio tornare a casa per rivedere la mia famiglia e i miei amici. Ma la priorità per ora è accrescere me stessa».
In Italia le figure professionali di diversa etnia sono rare, senti la responsabilità di rappresentare la tua cultura lavorativamente parlando?
«Si, certamente, è la mia cultura. È da dove vengo, le mie origini. Non è semplice lasciarselo alle spalle. Quindi si, voglio rappresentare bene il mio paese, la mia cultura, la mia gente. Pertanto, voglio risplendere davanti al mondo».
Cosa diresti ai ragazzi italiani che, pur avendo facile accesso agli studi, si rifiutano di intraprenderli ritenendoli obsoleti?
«Penso che gli direi di utilizzare le loro opportunità saggiamente. Perché tutti coloro che vengono dall’Africa, per raggiungere i loro obbiettivi, superano qualsiasi ostacolo e sacrificano tutto quello che hanno. Io ho lasciato il mio paese solo per avere un’educazione. Per noi questo viaggio non è per nulla facile e vediamo la possibilità di istruirci come qualcosa di molto ghiotto, come una bella fetta di torta».
Sono questi gli esempi che danno lustro al nostro paese. Storie come queste rappresentano la vera essenza di uno stato democratico e di una comunità internazionale vigile e presente. Sperando che non sia la storia di un’eccezione ma uno sprazzo di normalità.
di Giuseppe Spada e Stefano Errichelli
TRATTO DA MAGAZINE INFORMARE
N°232 – AGOSTO 2022