Siamo ancora lontani da un giornalismo libero in Italia e la colpa è del legislatore. Non ci sono mezzi termini davanti ad una situazione di stallo del diritto di cronaca nel nostro Paese, a emergere è una responsabilità chiara di una classe dirigente che non vuole una stampa indipendente. Perché? Forse perché non conviene ad una classe dirigente che, così facendo, si è resa protagonista di una delle storture democratiche più evidenti in un Paese dell’Unione Europea. La produzione di norme (del diritto) è affidata alla politica, uno strumento legislativo volto a regolamentare la vita pubblica di una democrazia difendendo i suoi baluardi, partendo dai princìpi tracciati dalla Costituzione. Ebbene in Italia, in materia di libertà di stampa, la politica ha vergognosamente piegato il diritto per proteggere i propri interessi.
Lo sa bene chi ha scelto di fare il cronista in questo maledetto Paese e lo sanno bene quei pochi difensori della libertà di cronaca che ci fanno sperare in un futuro migliore, come la redazione di Report guidata dal direttore Sigfrido Ranucci.
REPORT NON HA PAURA
Nel mese di aprile abbiamo avuto il piacere di ospitare in redazione il direttore Ranucci per un confronto sullo stato di salute della libertà di stampa in Italia. Da anni Sigfrido Ranucci è in prima linea nell’organizzazione di un programma indipendente, spesso bastonato, ma che ci fa ancora sperare in un servizio pubblico non asservito. Ascoltando le storie di alcune inchieste e difficoltà incontrate nel lavoro di Informare tiene subito a sottolineare un aspetto importante: «La Rai ci permette di avere importanti tutele legali, cosa che spesso i giornalisti sui territori non hanno. Bisogna che abbiate la schiena dritta, perché noi redazioni nazionali andiamo via ad un certo punto, quelli che restano sui comuni siete voi».
Ranucci e il suo team affrontano quotidianamente i calvari che chi fa informazione subisce, ma custodiscono la determinazione di andare avanti nonostante le pressioni continue. «Finché non verrà approvata la legge sulle querele temerarie continueranno ad esserci pressioni sui giornalisti – afferma Ranucci -. Bisognerebbe fare come in Inghilterra dove chi denuncia mette un terzo della cifra che chiede, in modo tale che alla fine del giudizio vi possa essere un corrispettivo o per chi denuncia o per il giornalista che ha fatto il suo mestiere senza commettere reato. La legge ci sarebbe anche adesso, ma questi temi non sono proprio nell’agenda politica. Non c’è la volontà politica di rendere la stampa libera e forte nel nostro Paese».
Le querele temerarie sono una costante per personaggi che con questo strumento provano a mettere pressione al cronista chiedendo risarcimenti di cifre impossibili da liquidare, con la consapevolezza che mal che vada dovrà solo pagare le spese legali. «Chi segue Report sa che a causa della nostra inchiesta sul 41bis addirittura abbiamo beccato una querela dall’Unione delle Camere Penali di Roma, a seguire questo procedimento contro di noi è l’Avv. Giandomenico Caiazza che scrive sul Riformista ed è il legale di Matteo Renzi. Oltre a questo ci hanno fatto anche ricorso all’Agcom, quindi dobbiamo affrontare: istituto di sorveglianza, tribunale civile e penale. Ogni cinque giorni riceviamo richiesta di cancellazione di servizi per il diritto all’oblio, in barba a sentenze della Corte europea e del Garante della Privacy che sanciscono la proprietà collettiva di un documento che fa parte dell’archivio giornalistico. L’informazione è della collettività, è interesse pubblico e supera il diritto all’oblio. Occorre che i colleghi siano preparati a questi attacchi» – afferma Sigfrido Ranucci.

QUALE SERVIZIO PUBBLICO?
Se una seria riforma dell’editoria continua a non esserci, la nuova riforma della Giustizia Cartabia pone grandi limiti al diritto di cronaca come sottolineato dal direttore di Report: «Dopo la riforma Cartabia ci sveglieremo in un mondo migliore senza più cattivi dato che non potremo più fare i nomi degli indagati fino alla sentenza definitiva. Così facendo l’informazione arriverà ad un punto critico, sarà come quando entri in un cimitero e vedendo i memoriali alla madre eccellentissima, illustre dottore e magnifico rettore, ti viene spontaneo chiederti dove abbiano seppellito i delinquenti».
Dall’altro lato Sigfrido Ranucci evidenzia come, al di là delle leggi, occorre che il servizio pubblico sia maggiormente incisivo nella narrazione del nostro Paese: «La Rai ha 6mila giornalisti che con le potenzialità che offre il web dovrebbero tirare fuori tante notizie al giorno, ma la dura verità è che la Rai non fa notizia. Leggono i giornali, fanno le riunioni sommarie su un tema già uscito e si fa il telegiornale. Così non fai notizia».
RANUCCI PRIMA DI REPORT
Prima docente poi inviato in zone di guerra, la vita di Sigfrido Ranucci è mossa dall’amore nel narrare ciò che lo circonda. Prima di approdare nella nota trasmissione d’inchiesta, Ranucci ha vissuto esperienze di un giornalismo a tutto tondo e di frontiera, un background utile ad affrontare la spigolosa strada di Report. «Ho iniziato a fare il giornalista perché mi piaceva rompere le scatole (ride .ndr). Sono entrato in Rai alla fine degli anni ’80 lavorando per il TG3, poi ho fatto l’inviato vivendo dei momenti straordinari. Ero a New York dopo l’abbattimento delle Torri Gemelle, a Sumatra dopo lo tsunami che distrusse l’isola e dove ho vissuto un’esperienza intensa circondato da morte e devastazione. Sono stato in Iraq e ai confini di guerra, esperienze che mi hanno dato tanto sul piano umano e professionale. Poi ho deciso di dedicarmi completamente al lavoro d’inchiesta, che mi ha sempre appassionato».
Ranucci si lamenta difficilmente, è un combattente e se provi a chiedergli qual è il limite principale imposto ad un cronista oggi in Italia non ha dubbi: «Il limite è la tua pazienza, se si fa inchiesta bisogna essere consapevoli di dover affrontare delegittimazioni, noie e scocciature di tutti i tipi».
Affermazioni rare per il direttore di una trasmissione che subisce costanti attacchi: «Stanno cercando di bastonarci e lo fanno con tentativi spudorati, creando dossier falsi o entrando nelle nostre fonti delegittimandole. Noi siamo seri, io piuttosto che dare materiale di inchieste mi faccio arrestare. È una battaglia per il giornalismo libero che dobbiamo tutti portare avanti, centimetro per centimetro».
UN PAESE PURO
Se l’Italia è ancora lontana da una normativa che tuteli la libertà di stampa, bisogna altrettanto segnalare che le esperienze di editoria pure sono sempre meno. «Il processo editoriale di questi anni ci mostra che gli editori puri sono pochissimi – afferma il direttore Ranucci – La maggior parte degli editori sono politici, industriali legati ai politici oppure che scelgono un direttore responsabile politico. È un male incredibile del nostro Paese».
Un record negativo che ha portato il nostro Paese in fondo alla classifica europea sulla libertà del giornalismo. Spesso ci si ritrova a commentare questi pessimi risultati per poi ritornare ad infangare, o dare poca attenzione, ai cronisti che svolgono con diligenza il proprio lavoro. Sulla classifica Ranucci tira dritto: «Noi siamo tra gli ultimi paesi come percezione della libertà di stampa, in realtà siamo più liberi di quanto sembriamo ma tutto dipende da noi. Oggi c’è il proliferare del fact-checking che non mi convince per niente. Chi ti dà la patente di fact-checking? Chi dice che tu rispetti sempre questo presunto strumento di validazione? In alcune nostre inchieste ci sono stati dei personaggi del “fact-checking” che hanno prodotto veri e propri depistaggi sulle indagini che abbiamo realizzato. Sulla vicenda dell’incontro tra Renzi e Mancini hanno fatto i giochi sulle ombre delle macchine, ma l’obiettivo era distrarre l’attenzione dal fatto che un premier abbia incontrato un uomo dei servizi segreti e non se ne conosce il motivo».
Parole che fanno riflettere e che hanno tenuto incollati i cronisti di Informare, caricati dal sostegno che il direttore Ranucci ha più volte sottolineato per il lavoro d’inchiesta svolto. La battaglia per un giornalismo libero è da vincere, ma per farlo occorre una squadra motivata e compatta. «Fare inchieste in prima serata per la tv è molto faticoso, ma se sono qui oggi è anche per creare rete e dirvi che saremo sempre attenti alle segnalazioni che ci invierete. Riceviamo 78mila segnalazioni l’anno, c’è un lavoro faticosissimo dietro Report» – conclude Sigfrido Ranucci.
Ph. Ciro Giso