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COPERTINA – Il MANN: la storia del mondo racchiusa in un Museo

Luisa Del Prete 01/07/2021
Updated 2021/07/01 at 12:27 PM
12 Minuti per la lettura

Con il direttore Paolo Giulierini in un viaggio attraverso le meraviglie archeologiche

Indice
MANN: Museo Archeologico Nazionale di Napoli. È situato nel cuore del centro storico, a pochi passi da quello che è il Patrimonio dell’Unesco. Cosa significa per Napoli avere un Museo così importante come il MANN?Molti in Italia sono i Musei archeologi: dalle province ai capoluoghi di regione. Perché quello di Napoli è un’eccellenza internazionale? Cosa lo differenzia dagli altri?Una storia che ha origine nel 1700 e diventa poi Museo Nazionale nel 1860. Che peso ha essere un punto di riferimento così importante per l’archeologia mondiale?Delle collezioni vastissime: dall’imponente collezione Farnese ai suggestivi ritrovamenti di Villa dei Papiri; per poi continuare con mostre di alto spessore come ricordiamo due anni fa la mostra di Canova. Come si valorizzano ogni giorno questi capolavori e come il MANN riesce sempre a dare mostre di elevata qualità?Come rispondono i turisti e soprattutto i napoletani a tutto ciò?I musei e la cultura in generale hanno recentemente affrontato periodi molto bui. Quali sono i progetti futuri e come avete organizzato la riapertura?«Abbiamo organizzato la riapertura investendo, e anche rischiando, su una mostra molto bella, ma che poteva anche essere un flop nel caso in cui non fossero ristabiliti i flussi di visitatori e quindi noi abbiamo inaugurato “I Gladiatori” quando ancora era tutto chiuso, però volevamo proporre una cosa eccezionale nel momento della riapertura. Devo dire che le presenze ci stanno ripagando, perché sono un punto di riferimento, in questo momento a livello nazionale, delle esposizioni in Italia. L’altro aspetto sul quale stiamo lavorando è quello di trasformare il museo, tra la prossima estate e la prossima primavera, in un luogo dove si possa passare davvero un’intera giornata in tranquillità ed in serenità; attivando una serie di servizi come il terzo giardino, il ristorante che si sommerà alla caffetteria, collegando il Museo anche alla Galleria di fronte dove abbiamo ottenuto due spazi allargando, dunque, l’idea di Museo.
Abbiamo chiuso anche un accordo con Volotea che finanzierà uno spazio green al di fuori del Museo in cui ci saranno rastrelliere per biciclette, punti di ricarica e fontanelle d’acqua. È bene ripartire dalle cose essenziali ed è fondamentale che nei luoghi della bellezza si stia bene».
Quanto è importante e funzionale, in questo periodo, contestualizzare e conoscere la storia in un mondo che è in preda alla rivoluzione digitale e che corre veloce?

Il MANN (Museo Archeologico Nazionale di Napoli) è una delle più suggestive istituzioni archeologiche mondiali. Creato sotto la dinastia dei Borbone, racchiude tutti quelli che sono i tesori più importanti delle antiche civiltà: dall’imponente Collezione Farnese ai ritrovamenti di Villa dei Papiri del Parco Archeologico di Ercolano. Un patrimonio immenso che vanta visitatori e studiosi da tutto il mondo. Per scoprire a fondo quest’eccellenza, abbiamo intervistato il Direttore del Museo, Paolo Giulierini.

MANN: Museo Archeologico Nazionale di Napoli. È situato nel cuore del centro storico, a pochi passi da quello che è il Patrimonio dell’Unesco. Cosa significa per Napoli avere un Museo così importante come il MANN?

«Significa avere un luogo che è custode di un’eredità straordinaria e che viaggia in due direzioni: da una parte l’eredità che ci proviene da Ercolano e Pompei, quindi, i grandi scavi del ‘700/’800, dall’altra essere un’istituzione voluta da una monarchia, quella dei Borbone, che è stata estremamente illuminata con una grande lungimiranza internazionale.
Il Museo, infatti, accoglie anche la collezione Farnese che non a caso proviene, per parte di madre, da Carlo. Quindi nel cuore di Napoli c’è un istituto che raccoglie la grande eredità culturale della monarchia spagnola e l’altro grande vantaggio è che, in questo cuore di Napoli che raccoglie tutte le identità napoletane non solo culturali ma anche antropologiche, siamo in una cornice tra Forcella e Sanità fortemente identitari e dunque il museo, per sua natura, deve dialogare anche con questa comunità. Quindi due sono gli aspetti: la grande eredità del passato e l’essere ubicato nel cuore di Napoli e quindi il dialogo costante con una comunità ancora viva».

Molti in Italia sono i Musei archeologi: dalle province ai capoluoghi di regione. Perché quello di Napoli è un’eccellenza internazionale? Cosa lo differenzia dagli altri?

«La storia del Museo parla chiaro: i materiali conservati all’interno dell’archeologico sono espressione di un museo che non è un Museo di una città di regione, ma della capitale del Regno delle due Sicilie. Se noi pensiamo che il Regno delle due Sicilie corrispondeva a metà del territorio italiano, si capisce subito che siamo di fronte ad una scala simile a quella degli Uffizi oppure a quella del Louvre francese: è questo il motivo. Teniamo presente che prima del 1956, il Museo archeologico accoglieva come “Real Museo Borbonico” anche tutte le collezioni di Capodimonte quindi era concepito come Museo “universale”. Dunque, questo è il primo aspetto: la quantità e la qualità degli oggetti è direttamente proporzionale al fatto che il Museo nasce come Museo di un Regno e non di una città. Il secondo aspetto è la qualità degli oggetti perché ciò che è al Museo, proveniente da Ercolano e Pompei, è la selezione della selezione degli oggetti più belli ritrovati nelle realtà vesuviane come anche la Collezione Farnese è la selezione delle migliori opere che furono trovate a Roma: è per questo che il Museo non ha pari rispetto ad altri musei mondiali in campo di archeologia».

Una storia che ha origine nel 1700 e diventa poi Museo Nazionale nel 1860. Che peso ha essere un punto di riferimento così importante per l’archeologia mondiale?

«Il Museo ha, dal punto di vista dei prestiti, il più grande prestatore del Ministero per quello che riguarda le mostre all’estero. Questo ci permette di essere in comunicazione con città di tutto il mondo, recentemente anche con l’Oriente. Questa è una straordinaria opportunità per il Museo, ma anche per Napoli e la Campania che ha una vetrina continua in tutto il mondo.
In seconda battuta, c’è il rapporto con la comunità di studiosi che di continuo chiede possibilità di sopralluoghi, fotografie, documenti che trattano questo immenso patrimonio. Il salto di qualità sarà fatto tra qualche tempo quando riusciremo a mettere online tutto il materiale che abbiamo, anche nei depositi, sia sotto il profilo della schedatura che delle immagini. Si innescherà un processo estremamente virtuoso di una comunità scientifica che non ha bisogno di venire a Napoli per studiare, ma che da qualsiasi parte del mondo sarà connessa con l’Archeologico».

Delle collezioni vastissime: dall’imponente collezione Farnese ai suggestivi ritrovamenti di Villa dei Papiri; per poi continuare con mostre di alto spessore come ricordiamo due anni fa la mostra di Canova. Come si valorizzano ogni giorno questi capolavori e come il MANN riesce sempre a dare mostre di elevata qualità?

«Noi abbiamo stabilito una strategia espositiva mettendo sempre a confronto il moderno con l’antico, questo è stato proprio il caso di Canova, cioè un grande scultore moderno che ha riflettuto sull’antico. Ci sono mostre, poi, come quelle dei gladiatori che vogliono approfondire il tema dell’archeologia e vedere come nel tempo si è evoluto il concetto di gladiatore nel corso del tempo fino ad arrivare ai nostri giorni e a riflettere su quali sono stati i gladiatori oggi come, ad esempio, i medici in prima linea in pandemia. Oppure ci sono mostre di denuncia come la mostra di due anni fa del cambiamento climatico perché riteniamo che i Musei debbano avere questo ruolo politico/sociale di stimolo e di educazione al grande pubblico. In sostanza, tutto quello che viene fatto al MANN a livello espositivo ovviamente anche attraverso l’utilizzo di oggetti di grande livello, ha sempre il fine di collegare il mondo antico con quello contemporaneo, cioè di stimolare la riflessione e non concepire la bellezza come un valore a sé stante, ma come stimolo per creare cittadini più consapevoli».

Come rispondono i turisti e soprattutto i napoletani a tutto ciò?

«Noi abbiamo ereditato, ad inizio del nostro mandato, un pubblico che era soprattutto quell’erede del Grand Tour, quindi, un pubblico in maggioranza anglosassone e francese, che era abituato a venire a Napoli all’Archeologico e poi proseguire per Pompei.
Nel tempo abbiamo lavorato per creare una comunità cittadina che comprendesse come l’archeologico è un’identità profondamente diversa da Pompei, perché ha solo in parte collezioni vesuviane, ma vi sono anche la collezione egizia, la collezione Farnese, materiali dalla Magna Grecia, da Palmira e dalla Siria: insomma, è un museo di grande livello internazionale. Gli anni sono stati spesi anche per creare una comunità legata al museo, infatti, l’anno scorso abbiamo registrato circa 8000 abbonamenti. A noi interessa molto il fatto che si crei e si coltivi questa comunità, perché ci sono margini di crescita enormi considerando che la città di Napoli arriva a quasi un milione di cittadini, quindi, bisogna lavorare sotto questo aspetto per creare un “nuovo pubblico”, per far sì che ci sia un forte senso di riappropriazione da parte dei napoletani del loro museo; perché non è il “mio” Museo, ma è di tutta la città di Napoli. Purtroppo, è una cosa che riguarda molti siti campani, ma stiamo lavorando in questa direzione».

I musei e la cultura in generale hanno recentemente affrontato periodi molto bui. Quali sono i progetti futuri e come avete organizzato la riapertura?
«Abbiamo organizzato la riapertura investendo, e anche rischiando, su una mostra molto bella, ma che poteva anche essere un flop nel caso in cui non fossero ristabiliti i flussi di visitatori e quindi noi abbiamo inaugurato “I Gladiatori” quando ancora era tutto chiuso, però volevamo proporre una cosa eccezionale nel momento della riapertura. Devo dire che le presenze ci stanno ripagando, perché sono un punto di riferimento, in questo momento a livello nazionale, delle esposizioni in Italia. L’altro aspetto sul quale stiamo lavorando è quello di trasformare il museo, tra la prossima estate e la prossima primavera, in un luogo dove si possa passare davvero un’intera giornata in tranquillità ed in serenità; attivando una serie di servizi come il terzo giardino, il ristorante che si sommerà alla caffetteria, collegando il Museo anche alla Galleria di fronte dove abbiamo ottenuto due spazi allargando, dunque, l’idea di Museo.
Abbiamo chiuso anche un accordo con Volotea che finanzierà uno spazio green al di fuori del Museo in cui ci saranno rastrelliere per biciclette, punti di ricarica e fontanelle d’acqua. È bene ripartire dalle cose essenziali ed è fondamentale che nei luoghi della bellezza si stia bene».
Quanto è importante e funzionale, in questo periodo, contestualizzare e conoscere la storia in un mondo che è in preda alla rivoluzione digitale e che corre veloce?

«Non dobbiamo commettere l’errore verso il quale ci stanno spingendo i soggetti che producono le tecnologie. C’è una falsa idea che sta serpeggiando, molto pericolosa, e cioè che se si padroneggiano le tecnologie, siamo persone evolute. In realtà la tecnologia è uno strumento, ma se nessuno di noi ha i contenuti e la consapevolezza critica di ciò che è successo e ciò che sta succedendo, siamo schiavi di chi produce tecnologie. Bisogna tornare assolutamente a formare le persone criticamente attraverso lo studio della storia, della filosofia, del pensiero libero; dopodiché ci si può anche specializzare. Dunque, la tecnologia noi la utilizziamo come strumento e non come fine. I Musei possono far capire tante cose, a volte anche in maniera cruda, aprendo gli occhi sugli abissi del mondo antico per ricordarci che vi sono altrettanti abissi nella contemporaneità».

di Luisa Del Prete

Ph Giorgio Albano e Mina Grasso

TRATTO DA MAGAZINE INFORMARE 

N° 219 – LUGLIO 2021

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