«Me stessa, il personaggio più complicato»
Sguardo penetrante di una maligna serenità; capelli che, dritti, scendono sul collo e incorniciano bei lineamenti pesantemente truccati. Il passo è deciso, la risata terribile. Il fumo della sigaretta, decisamente mantenuta tra l’indice e il dito medio, è impregnato nei vestiti costosi di questa donna che quasi nullifica il profumo pesante spruzzato da casa. Lei rappresenta tutto: la sua vita, il suo status, la zona da dove proviene. Il soprannome è identificativo: “Scianel”, perché ne capisce di profumi. Dimenticatela. Cristina Donadio è una donna dalla travolgente semplicità e spiccata simpatia, sempre pronta a dire la sua, con dolce garbo ed eleganza.
Ospite presso la nostra redazione, si è subito sentita a suo agio scherzando con tutti noi e raccontandoci della sua vita, del teatro e del suo rapporto con la città di Napoli. La Donadio trasuda passione e professionalità, elementi che la rendono un’attrice brillante capace di farsi amare anche nella peggiore delle vesti.

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«Il teatro, la mia scelta»
Cristina nasce a Napoli, nel quartiere Posillipo, e sin da bambina risalta in famiglia per la sua verve fuori dal comune. Gioca a calcetto, nel ruolo di terzino, e quando il nonno chiede a lei, e alle sue sorelle, di esibirsi sul tavolo del salotto con poesie e canzoncine, la piccola Cristina deve essere tirata giù con forza per non continuare all’infinito. «Sono legata al villaggio Coppola – ci racconta – mio padre aprì qui una gioielleria, accanto al cinema Bristol. Durante queste bellissime estati conobbi Nino Taranto, che aveva la villa di fronte alla mia e divenne nostro amico di famiglia. Quando mise su una compagnia mi chiamò per fare l’attrice giovane. Questa fu la mia prima scuola di teatro: il palcoscenico!». Chi viene dal teatro porta con sé un marchio, il tatuaggio indelebile di una passione che non può finire. «Il mio rapporto col teatro non si è mai interrotto, nonostante cinema e televisione. Mentre giravamo Gomorra, alla fine delle riprese, la prima cosa che mi veniva voglia di fare era salire sul palco, come quando vai sott’acqua e hai bisogno di risalire per prendere aria. Il teatro è la scelta che ho fatto, è la mia vita».

Sono nove vite, come ella stessa afferma, quelle vissute all’insegna della carriera e della professionalità che ci appare di fronte. Alcune di queste segnate da grandi gioie, come suo figlio, “regalo” del suo sedicesimo compleanno, altre segnanti, come la scomparsa di Stefano Tosi, suo marito e compagno di scena nella compagnia di Nino Taranto, nel 1986. «Dopo la morte di Stefano ed Annibale (Ruccello, ndr) incontro Enzo Moscato – dice la Donadio – iniziando così, a masticare il suo teatro: quanto di più diverso dal mondo convenzionale che avevo vissuto. Da quel momento non sono più tornata indietro, cambiando il mio modo di vedere il teatro e di essere attrice». Un teatro che necessita della conoscenza di se stessi; un continuo scavare nel profondo del proprio animo, senza aver paura di ciò che si può trovare. Anche perché talvolta ciò che si trova non è sempre buono. «L’ultima porta che ho aperto è stata quella del tumore al seno che ho avuto mentre giravo Gomorra», una storia uscita solo recentemente. «Non l’ho raccontata: non volevo che cambiasse lo sguardo dei registi verso di me; chi è intorno ti guarda con pietà. A volte lo sbaglio che si fa è rendere questa malattia un contenitore dove all’interno si mette tutto, in realtà la malattia deve essere una delle tante cose che fanno parte della nostra vita e non va messa nella scala dei valori al primo posto. Mai perdere il sorriso».
«Io sono Scianel»
«Scianel è rappresentare l’orrore», così la Donadio introduce il personaggio che l’ha resa celebre in duecento paesi. Annalisa, detta “Scianel”, è la rappresentazione più spregevole della camorra delle donne, personaggio di spicco della serie TV “Gomorra”. «Sono andata a scavare nei miei demoni e qualcosa l’ho trovato – afferma – non l’ho mai pensata come una camorrista, ne avrei fatto una macchietta. Ho pensato a lei come Medea, Clitemnestra o Lady Macbeth, donne orrende ma archetipi del male. Credo di averle dato qualcosa in più di ciò che era su carta: una profondità dovuta al mio essere attrice di teatro». C’è magia quando si incontrano il personaggio e l’interprete giusto, e questa il pubblico la percepisce.. «Scianel vivrà di vita sua, difficilmente verrà dimenticata. È stata amata dalle donne. Al netto dell’orrore, è una donna che ha una sorta di suo post-femminismo: ci mette la faccia, non chiede nulla a nessuno. Non ha mariti, non ha padri, non ha figli, non ha fratelli, non ha più nulla. Ha una sua ironia, una sua forza, un suo modo di essere. A me piacerebbe avere un’amica come Scianel: una donna 3.0. Sottolineando: al netto dell’orrore». Nel momento in cui i personaggi, vivi e completi, entrano nell’immaginario collettivo è come se prendessero vita propria, andando oltre l’interprete. «Lei è un qualcosa di esterno a me ma, al tempo stesso, in modo molto teatrale, io sono Scianel. C’è un verbo che gli attori usano spesso, in modo errato, che è “fare”. Fare non vuol dire nulla, io “sono” il personaggio che interpreto, solo così posso renderlo credibile».

Quando un personaggio è così vivo è difficile “scollarselo” di dosso; persino il custode del parco dove vivi ti chiama “Signora Scianel”. Si rischia di essere riconoscibile ovunque, anche in altre vesti, anche in altri ambienti. «Sono stata recentemente impegnata nelle Baccanti di Euripide. Il pubblico veniva per vedere Scianel ma dopo lo spettacolo, rimanevano stupiti dell’interpretazione, non immaginandosi che dietro Cristina Donadio non ci fosse solo Scianel. Ecco, questo è il bello, mettere Scianel a servizio del teatro, portando il pubblico a vedere persino la tragedia greca». Tra teatro, cinema e TV, sono tanti i personaggi che affollano il guardaroba di Cristina Donadio. Tutti sono legati ad un ricordo, ad una storia, ad un’interpretazione. Ma ce n’è uno che, a detta di Cristina, è stato quello più difficile da interpretare. «25 anni dopo la morte di Stefano, ho scritto, diretto e recitato “25 rose dopo”. Ho messo in scena me stessa in questa j’accuse verso il mondo che annualmente ricordava soltanto Annibale Ruccello, senza neanche citare Stefano. Il personaggio più difficile da portare in scena è stata Cristina».
#ProudlyNeapolitan
Oggi “Gomorra” fa notizia, ingiustamente per quella che è una serie TV. «Non è stata Gomorra a creare la camorra, è stato esattamente il contrario» dice la Donadio spiegando il suo punto di vista sulla creazione di questo nuovo capro espiatorio. «Di fronte ad un film o una serie non c’è sempre il bisogno di specificare che quella è la vera faccia di Napoli “al contrario di Gomorra”. Questa serie non è un contraltare».

La maglietta che indossa (foto di copertina) è firmata dall’eccellenza sartoriale Isaia, che ha portato al salone Pitti Uomo di Milano queste sarcastiche t-shirt. «Se vogliamo che qualcosa cambi nella nostra terra dobbiamo iniziare a prenderci meno sul serio: tutto ciò che accade in questa città è sempre a tinte forti, non esistono le mezze misure. Questa delle magliette è un’idea giusta per confermare il “Proudly Neapolitan” (orgogliosamente napoletano, ndr), usando lo stereotipo contro lo stereotipo. Abbiamo bisogno di una sana ironia; dobbiamo pensare a quanto facciamo noi per la nostra città. Come cittadina, madre e nonna, io vorrei vivere un giorno in una città normale».

La rabbia, talvolta, ci fa scontrare con il mondo che ci circonda abbattendo le nostre speranze verso la cultura, verso i giovani. La Donadio non è di questo parere. Un artista dovrebbe rischiare e cimentarsi sempre in cose nuove: è anche il bello di questo mestiere. «Io credo che per la cultura qualcosa si stia facendo. Il lavoro di Franceschini sui musei è molto forte. Cominciamo a dire quel poco di buono che c’è, altrimenti non ce ne usciremo mai. L’importante è far capire ai ragazzi ed ai giovani cos’è la cultura. Insegnare agli insegnanti, anche di andare a teatro. Famiglie e scuola devono collaborare. Non è facile parlare bene, ma è troppo facile parlare male». È tutta colpa di Gomorra. Oggi, qualsivoglia problema di criminalità, come se a Napoli mai ce ne fossero stati, è colpa di una serie TV.
Può, allora, una serie TV incidere così tanto nella società? «Magari, sarebbe bellissimo – risponde Cristina – basterebbe chiuderla. Siamo, mi pare, alla undicesima serie di don Matteo, non mi pare che abbia prodotto santi e benefattori».
di Savio De Marco
Servizio fotografico a cura di Gabriele Arenare
Tratto da Informare n° 178 Febbraio 2018