Dalla storia del Covid-19 alla sperimentazione del Tocilizumab
Proviamo a ripercorrere brevemente la storia che stiamo drammaticamente vivendo in questi ultimi giorni e facciamolo partendo dalla chat che il dottor Li Wenliang condivide con alcuni suoi specializzandi e nella quale, il 30 dicembre 2019, mostra preoccupazione per alcuni casi di polmonite atipica verificatisi nel suo reparto di oculistica ipotizzando una nuova misteriosa malattia. Secondo il New York Times ed altri osservatori, le autorità cinesi già nel corso del mese erano a conoscenza del contagio, preferendo sorvolare in attesa di sviluppi successivi.
Il primo caso di questa malattia polmonare misteriosa a Wuhan è stato registrato ufficialmente l’8 dicembre, seguito immediatamente da un’altra decina di casi che presentavano una singolare coincidenza: tutti i malati erano transitati al mercato del pesce e della carne selvatica. I pazienti infettati presentavano sintomi simili all’influenza come febbre, senso di affaticamento, tosse secca, difficoltà respiratoria e nei casi più gravi, soprattutto in soggetti affetti da alte altre patologie, la polmonite, l’insufficienza renale acuta fino al decesso.
Il grido di allarme del dottor Li non solo rimane inascoltato, ma addirittura viene censurato e lui stesso redarguito dalla polizia.
Anche la sua morte, avvenuta ufficialmente l’8 febbraio 2020, rimane avvolta in una nebbia di sospetto per gli errori, le omissioni e i ritardi dei dirigenti sanitari e politici di Wuhan che
solo a fine dicembre, come è stato poi affermato, avrebbero comunicato a Pechino ciò che
stava accadendo in città. A metà gennaio i malati di «polmonite misteriosa» per le autorità di Wuhan erano incredibilmente solo 45.
Il 21 marzo 2020 sono stati stimati nel mondo 481.487 casi di persone infettate con un numero di decessi pari a 21.889 causati dal coronavirus denominato dalla Organizzazione Mondiale della Sanità come COVID-19 (acronimo dell’inglese COronaVIrus Disease 19).
Gli studiosi cinesi hanno subito messo in evidenza somiglianze cliniche nei pazienti infettati
con il COVID 19 con i pazienti infettati dalla SARS e dal MERS.
Cosa vuol dire questo? Cerchiamo di fare chiarezza.
I coronavirus sono virus a RNA (acido ribonucleico) che causano malattie respiratorie che vanno dal raffreddore comune alla polmonite fatale. Sono stati identificati sette tipi di coronavirus ma ce ne sono due, che causano gravi sindromi respiratorie: il MERS-CoV, identificato nel 2012 come la causa della sindrome respiratoria del Medio Oriente, poi SARS-CoV della sindrome respiratoria acuta grave (SARS). Nel caso del COVID 19, così come per gli altri due, sono patogeni che dagli animali infetti, grazie al salto di specie, sono arrivati fino all’uomo.
Quello che colpisce del COVID 19 è la sua velocità di propagazione nel mondo, ma anche la
sua alta capacità di contagio. Generalmente, la diffusione tra le persone avviene entrando in contatto con secrezioni infette come le goccioline respiratorie. Anche per quanto riguarda
il periodo di incubazione ci sono tempi diversi che possono variare, considerando i vari studi
eseguiti, dai 2 ai 14 giorni fino ad arrivare a 22 giorni. I primi due casi di COVID 19 in Italia sono stati rilevati il 29 gennaio 2020 su una coppia di turisti cinesi (un uomo di 67 anni e
una donna di 65, marito e moglie) provenienti proprio da Wuhan. Ricoverati all’Istituto di
Malattie infettive dell’ospedale Lazzaro Spallanzani di Roma con insufficienza respiratoria, i
due pazienti, come descritto nell’articolo pubblicato sull’International Journal of Infectious
Diseases, presentavano una ipertrofia dei vasi polmonari, con dimensioni aumentate in particolare nelle aree con danno interstiziale molto elevato. Questi due pazienti sono poi guariti nonostante uno stato così avanzato di danneggiamento dell’attività polmonare.
Intanto, in Italia, stiamo assistendo a un alto numero di contagi e di decessi rispetto ad altre zone che può essere attribuito al maggior numero di tamponi eseguiti per i contagi, e
ad un numero più elevato di una popolazione di anziani per i decessi, anche se questo oggi
non riesce a spiegare una letalità così elevata intorno all’10% (dato riferito al 26/marzo). A tal proposito, si deve considerare che la mortalità elevata è in parte causata dal ristretto lasso temporale in cui si verificano i casi e dalla ridotta possibilità di cure che devono essere forzatamente rapide.
Inoltre, uno studio eseguito sugli abitanti di Vo’ Euganeo, dove i 3000 abitanti del paese sono stati sottoposti a tampone, mette in evidenza che la maggioranza delle persone infettate (ovvero tra il 50% e il 75%,) sono asintomatiche, ma rappresentano una alta fonte di contagio.
Ancora, un altro studio, sempre condotto in Italia, evidenzia un legame tra inquinamento,
in particolare da polveri sottili, e virulenza del contagio. Le polveri sottili sembrano funzionare da carrier per il virus che in questo modo può essere trasportato anche a lunghe distanze.
Al momento non esistono né un vaccino né farmaci antivirali specifici per questo virus per
cui se ne stanno sperimentando vari che potrebbero funzionare. Vediamo in dettaglio quali.
La clorochina, un farmaco antimalarico che serve a bloccare l’assemblaggio delle proteine
virali impedendone la replicazione. Il Remdesivir, un farmaco usato nella sperimentazione
della MERS, è ora in fase di sperimentazione ufficiale in due studi clinici randomizzati di fase III in due paesi asiatici e negli Usa. Anche il Favilavir è stato approvato dalla National Medical Products Administration of China essendo un antivirale che ha mostrato una buona efficacia con minimi effetti collaterali, in un trial clinico su 70 pazienti a Shenzhen. Poi ci sono farmaci contro l’HIV, che si stanno rivelando parte integrante della cura di COVID-19, facendo parte dei ‘cocktail’ di prodotti somministrati anche ai pazienti italiani. La combinazione è stata inserita nella lista dei medicinali essenziali dell’Organizzazione mondiale della sanità: si tratta dell’inibitore della proteasi dell’HIV Lopinavir, impiegato insieme al simile Ritonavir.
Ed infine c’è il Tocilizumab, un anticorpo monoclonale usato nel trattamento della artrite reumatoide capace di bloccare la produzione di interleuchina 6 e quindi in grado di fermare
la tempesta di citochine innescata dal virus, migliorando la situazione di pazienti con grave
sindrome respiratoria nel giro di 24 o 48 h. In Italia è partita la sperimentazione con questo
farmaco approvata dall’AIFA “Studio TOCIVID- 19” (Studio multicentrico su efficacia e sicurezza di tocilizumab nel trattamento di pazienti affetti da polmonite da COVID-19) il 19
marzo 2020, promosso dall’Istituto dei Tumori di Napoli insieme alla Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, IRCCS di Reggio Emilia e con la Commissione Tecnico Scientifica
dell’AIFA.
A tal proposito abbiamo intervistato il prof. Paolo Ascierto, direttore dell’Unità di Melanoma, Immunoterapia Oncologica e Terapie Innovative all’Istituto Nazionale Tumori ‘Pascale’ di Napoli, che sembra aver giocato la carta finora più convincente nella battaglia per fermare il virus.
La prima ovvia domanda è stata quella di raccontarci come sia nata l’idea di usare il Tocilizumab.
«La mia unità operativa si occupa di immunoterapia del melanoma e altri tumori solidi. Pertanto, restando in quest’ambito, siamo abituati ad osservare e gestire eventi avversi anche gravi da parte di questi farmaci. Tra i farmaci utilizzati, ed in particolar modo nel trattamento di eventi avversi dovuti all’uso delle cellule Car T (dall’inglese Chimeric Antigen Receptor T-cell che descrive un complesso procedimento in cui alcune cellule del sistema immunitario vengono prelevate dal paziente, geneticamente modificate in laboratorio per poter riconoscere le cellule tumorali e poi reinfuse nello stesso paziente) c’è il Tocilizumab. L’utilizzo di tale farmaco è nato da un brain storming con le mie collaboratrici in cui si discuteva della possibilità di utilizzo di vari farmaci che agiscono potenziando il sistema immunitario. Ed è in questo modo che sono nate varie ipotesi tra cui quella del Tocilizumab. Il tutto si è concretizzato quando insieme al dott. Buonauguro, dopo un confronto con i colleghi cinesi, abbiamo avuto la reale consapevolezza che la nostra idea fosse supportata da dati pubblicati già in Cina con ottimi riscontri. Da lì il via alla task force con il collega Enzo Montesarchio che ha consentito di avviare immediatamente la richiesta del Tocilizumab e la sua somministrazione ai primi due pazienti».
Dunque esisteva già un protocollo internazionale oppure anche in Cina si era in una fase di ricerca allo stato embrionale e che tutti insieme avete perfezionato?
«In effetti la nostra idea in Cina era già stata attuata. La nostra fortuna è stata l’esistenza di questa collaborazione di interscambio scientifico già da tempo presente tra Pascale ed
ospedali cinesi. Pertanto, il confronto via web e la conferma dei risultati ottenuti in Cina ci ha spinto ad avviare il trattamento sui pazienti più gravi di terapia intensiva ed oggi stiamo vedendo i primi risultati. Sappiamo che il virus causa nei pazienti colpiti una polmonite grave che provoca un’intensa reazione del sistema immunitario con esteso danno polmonare e pertanto un notevole distress respiratorio. La sindrome da distress respiratorio acuto è un tipo di insufficienza respiratoria polmonare determinata da diverse patologie responsabili dell’accumulo di liquido nei polmoni e della riduzione eccessiva di ossigeno nel sangue. Detto questo sappiamo che nell’ambito di questi processi infiammatori sono coinvolte delle molecole che si chiamano citochine. Tra queste c’è l’interleuchina 6 (IL6) che contribuisce a scatenare tale reazione. Il farmaco agisce bloccando questa citochina e da qui il blocco della risposta immunitaria».
Dunque è questo il meccanismo di azione del farmaco che oltre che per l’artrite reumatoide è usato nelle terapie oncologiche per limitare gli effetti collaterali indotti da alcuni farmaci immunoterapici. Al momento la terapia viene utilizzata off label. Cosa significa?
«Diverse sono le strategie terapeutiche con altri immunoterapici in caso di eventi avversi ad
esempio l’Infliximab che è un antiTNF alfa. Detto questo al momento il farmaco Tocilizumab
non ha tra le sue indicazioni il trattamento della polmonite da coronavirus. Pertanto, il
termine off-label viene utilizzato per definire la somministrazione del farmaco fuori la sua reale indicazione. In questo caso avendo valutato la sua efficacia, seppur in modo empirico, l’azienda Roche ha messo a disposizione il farmaco per consentirci di poter affrontare questa emergenza».
Oltre alla sperimentazione per l’urgenza, avete intenzione di avviare una sperimentazione con tempi più lunghi?
«Sicuramente abbiamo in cantiere diversi progetti tra cui anche quello riguardante un vaccino per il coronavirus, ma come già detto in questi giorni, prima che tale cosa possa realizzarsi occorreranno dei mesi».
Dott. Ascierto, l’emergenza Covid-19 ha evidenziato anche uno spaccato tra la Sanità pubblica e quella privata. Cosa ne pensa al riguardo e, a suo parere, cosa dovrebbe mettere in atto il legislatore per un’azione maggiormente determinante della Sanità privata in situazioni di emergenza come questa?
«Finita questa guerra, allora potremmo puntare al miglioramento delle nostre strutture
sanitarie pubbliche e/o private. In questo momento di reale emergenza c’è solo la necessità
di unire le forze ed essere quanto mai compatti nel combattere questo nemico comune, quindi ognuno nel suo piccolo deve dare il suo contributo alla causa sia essa sanità pubblica o privata. Solo alla fine, quando usciremo vittoriosi in questa guerra, ci penseremo».
Se e cosa si sente di replicare alle dichiarazioni del dottor Massimo Galli ed anche ai curatori della trasmissione Striscia la Notizia?
«Nulla. Il mio obiettivo ora è stare vicino ai pazienti e supportare tutti coloro che ora stanno combattendo in prima linea. E comunque, al momento non ci sono cure specifiche, quindi l’unico modo per rallentare questa epidemia è quello di ridurre i flussi di persone ed evitare qualsiasi contatto interpersonale in modo da diluire nel tempo la curva di crescita giornaliera dei casi».
di Bruno e Gabriella Marfé
TRATTO DA MAGAZINE INFORMARE N°204
APRILE 2020