d-istruzione pubblica

Con l’autonomia differenziata avremo più d-istruzione pubblica

Ciro Giso 02/03/2023
Updated 2023/08/12 at 8:00 PM
8 Minuti per la lettura

Finirà per essere uno dei colpi finali alla già morente istruzione pubblica italiana. O forse sarebbe meglio chiamarla d-istruzione, viste le macerie – metaforiche ma anche reali – che gli studenti e coloro che lavorano nelle scuole sono costretti a scavalcare ogni giorno. Nell’ambito di una scuola a pezzi e di una rete di istituti che da Sud a Nord viaggiano già a diverse velocità, l’autonomia differenziata non potrebbe far altro che ingrandire il presente divario. Ora che è tornata nel dibattito pubblico e politico, il pericolo è serio.

Partiamo da un dato, il più importante. Quanti ragazzi abbandonano, oggi, la scuola? Su 8,5 milioni di studenti, secondo l’ISTAT, il tasso medio di abbandono scolastico si attesta attorno al 13%. Non dappertutto è così: mentre al Settentrione molte regioni scendono sotto la media, al Sud la dispersione scolastica si soffre di più. Sicilia, Puglia, Campania, Calabria. Alcune regioni meridionali arrivano fino al 20% di tasso di abbandono. Giovani fuggitivi da una scuola mal curata, e che non si cura di loro.

La scuola a pezzi: un puzzle mostruoso

Attorno all’efficacia dell’istruzione pubblica gira tutto il resto. Perché dietro la dispersione scolastica c’è una forte mancanza di sostegno economico e sociale da parte delle istituzioni, e uno Stato che non si occupa dei suoi giovani è uno Stato che ancor prima di distruggere il futuro, ne nega in principio la nascita. Sono tante le storie di ragazzi che non possono permettersi di acquistare i libri su cui studiare: si parla di acquisti che vanno dai 300 ai 600 euro a fronte di cedole che coprono solo una percentuale delle spese, e che in molti casi, Napoli in primis, arrivano con un forte ritardo sui tempi delle lezioni.

Arrivo in classe – se il pullman o il treno passa – e il soffitto mi cade addosso. Nulla di nuovo: è un’esperienza comune per molti studenti. Che denunciano, continuamente, carenze anche nell’edilizia e nei trasporti. Oltre la metà degli istituti scolastici è privo del certificato di agibilità statica (54%) e di quello di prevenzione incendi (59%): in Italia avvengono 3 crolli al mese nelle scuole. Sui trasporti non c’è dato che tenga: basta osservare i passaggi sporadici dei bus in orario scolastico o gli orari di treni e metro. A Napoli e in Campania – dove l’insostenibilità del trasporto pubblica si fa più sentire – come nel resto d’Italia.

In questo quadro disperato, cosa cambierebbe con l’autonomia regionale? «Non esisterebbe più una scuola pubblica statale, ma venti scuole pubbliche regionali» ci spiega Ines Caiazzo, responsabile di USB Scuola: «Ogni istituto scolastico, in base alla propria ricchezza, può spendere fondi sulla base del proprio gettito fiscale. Se in Campania il 40% dei cittadini non è occupato, quindi, avremo meno denaro in cassa per erogare i servizi. Oggi c’è un principio di ripartizione dove lo Stato compensa questa diseguaglianza, mentre domani – se l’autonomia sarà attuata – non sarà così».

1 docente su 4 è precario

L’incertezza regna sovrana dietro i banchi, ma anche in cattedra. Oggi un docente su quattro è precario. L’autonomia peggiorerà le cose, perché «si smembreranno i contratti collettivi nazionali: esisterà un contratto lombardo, uno veneto, uno campano e così via – spiega Caiazzo –. Ad esempio un docente che in Campania non riesce a lavorare, facendo una domanda di supplenza in Lombardia magari entrerà di ruolo. Per tornare a lavorare a casa sua dovrà fare una nuova richiesta di assunzione e non ci sarà alcuna mobilità. Ricordiamolo: molti vogliono tornare a casa, sono in tanti ad andare via per necessità economiche, ma non di propria volontà».

In bilico è anche il personale che lavora nelle scuole. «Abbiamo lottato per più di vent’anni per l’internalizzazione di dipendenti di aziende private che venivano pagati meno perché non ricadevano nel contratto collettivo nazionale. Le aziende spesso pagavano dopo mesi, ora hanno gli stessi diritti lavorativi di dipendenti pubblici». Oltre al danno, la beffa che anticipa l’autonomia regionale perché «nella legge di bilancio questo governo ha aggiunto una piccola nota per il ridimensionamento scolastico: il numero minimo di studenti per un complesso scolastico è a 900 alunni: in tutta Italia circa 700 scuole si dovranno accorpare, il 70% di queste al Sud. La Campania è quella che subirà maggiori accorpamenti, circa 150. In tutta Italia si perderanno centinaia tra collaboratori scolastici e amministrativi, nella sola Campania circa 500 posti in meno. In territori con un tasso di disoccupazione alto, questa norma peggiora il quadro occupazionale».

Una scuola fredda, con mura distrutte e spoglie di colore, con professori precari e personale sfruttato con attorno un mondo frenetico e distante non farà altro che allontanare ancora di più chi dovrebbe amarla. Eppure, mentre sempre più ragazzi vivono la scuola passivamente, molti altri resistono e lottano per cambiarla. Un punto di vista ce lo dà Zeno Formati, studente del liceo Vittorio Emanuele di Napoli e membro dell’Unione Degli Studenti. «La proposta di riforma dell’autonomia differenziata arriva in un quadro, dal punto di vista studentesco, disastroso per la partecipazione studentesca – spiega – ma più in generale l’interesse dei ragazzi sui propri diritti e la qualità della loro vita. La scuola influenza tutta una quotidianità e molti nemmeno se ne accorgono».

Poi il virus ci ha spenti: l’isolamento fisico è diventato sociale. «Col Covid c’è stata la “mazzata” definitiva a quel minimo contrasto che c’era ad ogni proposta di legge. Con la pandemia, l’assuefazione si è fatta tale che nelle scuole venissero a mancare molti collettivi».

Una scintilla nel buio, contro il sonno della ragione

«L’autonomia differenziata darà un calcio a qualsiasi principio di uguaglianza. È solo un’ulteriore svalutazione dello studio, l’ennesima» spiega Zeno. «Ormai c’è solo competizione. Tra studenti, e con l’autonomia anche tra scuole. Da Gelmini a Renzi, il ruolo di studente è sempre messo più in disparte a favore della meccanizzazione dei profitti – prima con l’alternanza scuola-lavoro, ora rinominata PCTO». Un tema, quello dell’alternanza scuola-lavoro, che ha portato in piazza migliaia di studenti in tutta Italia dopo le atroci notizie delle morti di diversi alunni durante le attività lavorative coordinate tra aziende e istituti scolastici. Giuseppe Lenoci, Lorenzo Parelli, Giuliano De Seta: morti giovanissimi. Una scuola che corre e calpesta le vite dei suoi ragazzi. Non solo li perde, ma li ammazza pure.

«Quello che c’è da fare ora è tenere alto il livello di attenzione tra tutti coloro che contengono una scintilla di consapevolezza» esortano gli studenti. «Stiamo assistendo ad un ulteriore smantellamento della costituzione. Scioperare e protestare, anche nel piccolo, serve. Quindi lanciamo un appello per dirvi: se la situazione è già disastrosa adesso, figuratevi in futuro. Dobbiamo agire adesso».

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