In memoria della strage del 12 dicembre 1969
12 dicembre 1969, ore 16:35. La Banca Nazionale dell’agricoltura a Milano in Piazza Fontana è più gremita del solito: coltivatori diretti, imprenditori agricoli e allevatori sono giunti dalla provincia per il mercato settimanale. Ignari di quel che sarebbe accaduto di lì a pochi minuti, si sono riuniti per “discutere i loro affari commerciali ed attendere al compimento delle operazioni bancarie presso gli sportelli”, come sarà scritto poi nei documenti processuali.
Ore 16:36. La pioggia continua a battere in Piazza Fontana e il freddo gela il capoluogo lombardo. Sempre più persone si riparano all’interno della Banca. Mancano pochi istanti allo scattare del minuto successivo. Sono le 16:37 e il tempo sembra fermarsi. Nella rapidità di pochi attimi, un ordigno situato nel salone centrale deflagra: l’impatto è devastante. Sette chilogrammi di gelignite compressi in una scatolina metallica: 14 vittime sul colpo, 17 quelle totali, 88 i feriti.
Il frastuono, le schegge di vetro, il caos: tutto concretizzatosi in un così breve tempo che rende impossibile anche solo rendersi conto di ciò che accade. Inafferrabile, inconcepibile, così rapido e allo stesso tempo così inevitabile. Una bomba, simbolo della piccolezza di chi non lotta per le proprie idee, ma piuttosto si nasconde, a distanza, al sicuro, pensando di poter pagare con la vita altrui l’affermazione dei propri ideali. Un’esplosione che rende impotenti i passanti, destinati a subire un esito scritto per loro da semplici uomini, come loro.
La strage di Piazza Fontana è il primo attentato di matrice neofascista che darà avvio alla cosiddetta “strategia della tensione” che bagnerà di sangue le strade italiane fino agli anni ’80. Roma, Bologna, Milano: sono solo alcune delle città che saranno coinvolte. Lo stesso 12 dicembre 1969 anche nella capitale italiana esplodono tre ordigni: uno nella Banca del Lavoro, uno sull’Altare della Patria e il terzo sui gradini del Museo del Risorgimento. Cinque attentati in soli cinquantatré minuti. Meno di un’ora per insinuare panico, ansia e preoccupazione per le strade di una nazione intera. Ormai troppo in bilico per sentirsi al sicuro.
Le indagini
Nei primi anni di indagini, la Strage di Piazza Fontana viene ricollegata a due circoli anarchici, quello del Ponte della Ghisolfa di Milano e quello del 22 marzo di Roma. In seguito, l’attenzione della Corte si orienta verso l’eversione neofascista, giungendo all’arresto di Franco Freda, editore e fondatore del Gruppo di Ar, e Giovanni Ventura, creatore della rivista “Reazione”. Entrambi verranno poi assolti per insufficienza di prove.
Il 30 giugno 2001 la Corte d’Assise di Milano dichiara per la prima volta la responsabilità neofascista nell’attentato. Inizia così ad affiorare l’idea del coinvolgimento di una cellula dell’organizzazione di estrema destra Ordine Nuovo. L’esito dell’interminabile vicenda giudiziaria è paradossale: nel 2005 la Cassazione conferma la responsabilità di Freda e Ventura, negando la possibilità di condannarli perché già assolti per lo stesso reato nel 1987.
Sono passati 52 anni. 17 morti, 88 feriti, 36 anni di indagini, 10 processi, 0 colpevoli. Diciassette morti, ottantotto feriti e ZERO colpevoli dichiarati.
La Strage di Piazza Fontana si è ormai conclusa con nessuna condanna definitiva.