Il Pride Month è ormai alle porte. Tra attivismo, azioni di strada e rivendicazione politica, con il mese di giugno torna un problema che affligge la storia del cinema sin dalle sue origini, dai primi esperimenti con vedute fino alla “fabbrica dei sogni” hollywoodiana: la rappresentazione delle minoranze, in particolar modo quella della comunità LGBTQ+.
Dal cinema delle attrazioni agli anni ’30: la rappresentazione comica della comunità LGBTQ+
Il cinema ha sempre raccontato storie LGBTQ+: inutile aggrapparsi all’argomentazione del “prima non c’erano, non c’era bisogno di mostrarle”. Risale al 1895 – l’anno della prima proiezione a pagamento ad opera dei fratelli Lumière, presso il Salon indien du Grand Café del Boulevard de Capucines – uno dei primi esempi di rappresentazione LGBTQ+, seppur sottintesa, nella storia del cinema. Si tratta del primo cortometraggio con il suono registrato dal vivo e girato per il kinetofono, diretto da William K. L. Dickson: mentre sullo sfondo lo stesso Dickson suona il violino, due uomini ballano un valzer abbracciati. Il passaggio dalle vedute ai primi lungometraggi segna una svolta nel modo in cui il cinema viene utilizzato: viene affinata l’arte della narrazione, nascono le prime sceneggiature ed il montaggio, i personaggi smettono di essere macchiette ed incominciano a trasformarsi in creature che possiedono caratteristiche ben definite. Ma la narrazione queer trova spazio, nella maggior parte dei casi, solo nel genere comico: negli scambi d’identità, nelle allusioni, nelle caricature, negli stereotipi. In Behind the Screen (1916), per citarne uno, Charlie Chaplin bacia una donna travestita da uomo, consapevole della persona che si nasconde al di sotto dei vestiti, mentre dà un calcio ad un uomo che presenta tratti eccentricamente effemminati.

Il Codice Hays e la comunità LGBTQ+
È a partire dagli anni ‘30 che l’essere queer diventa sinonimo di sregolatezza, decadenza e perversione. Basti pensare a Marlene Dietrich che, vestita da uomo, nel film Marocco (1930) è protagonista del primo bacio omosessuale della storia del cinema: il bacio suscita il riso del pubblico, andando però ben oltre la semplice comicità filmica. La stessa attrice, d’altronde, era una donna dichiaratamente bisessuale che ha sedotto uomini e donne in egual maniera, tra cui la malinconica Greta Garbo. Soltanto quattro anni dopo quel bacio, il cinema si piega sotto l’ingombrante presenza del Production Code (più comunemente noto come Codice Hays): un insieme di regole e condotte morali che avrebbero dovuto epurare i film da tutto quel che si pensava andasse contro il buon costume. Tra cui ovviamente la rappresentazione dell’omosessualità, annoverata tra le “perversioni sessuali”. Da quel momento, i registi cercano di riconquistare la propria libertà d’espressione attraverso sotterfugi ed allusioni: così la signora Danvers in Rebecca, la prima moglie di Alfred Hitchcock diventa una donna ossessionata dalla sua padrona ormai defunta; il gay subtext di Rebel without a cause (Nicholas Ray, 1955) sfocia nella tragedia, in un connubio di queer coded characters e bury your gays che al giorno d’oggi farebbe impallidire lo spettatore più consapevole; l’attrazione tra il protagonista ed il suo migliore amico in Cat on a Hot Tin Roof (Robert Moore, 1976) resta nient’altro che un’amicizia ambigua.
L’apertura di Hollywood
Il ‘68, l’insorgere dei moti di Stonewall e l’affermazione dei diritti della comunità LGBTQ+ fanno tremare le fondamenta già instabili di Hollywood (ricordiamo infatti che il Codice Hays viene abbandonato nel 1968). I film incominciano a mostrare i personaggi queer senza giri di parole od insinuazioni d’alcun tipo, con un rispetto che prima d’ora è sempre venuto a mancare; tra questi abbiamo Making Love (Arthur Hiller, 1982), Silkwood (Mike Nichols, 1983), Maurice (James Ivory, 1987). Tanto che, ben presto, è la stessa Academy ad aprirsi a prodotti con tematiche queer, andando a premiare film come Brokeback Mountain (Ang Lee, 2005), Milk (Gus Van Sant, 2008), Moonlight (Barry Jenkins, 2016), Call me by your name (Luca Guadagnino, 2017).
Il problema della rappresentazione LGBTQ+ nel cinema di oggi
Ad oggi i media queer sono tanti, eppure la settima arte fatica ancora a riconoscere la qualità oltre la quantità. Non basta che la rappresentazione ci sia – e che sia fatta bene o male poco importa – affinché ci si possa sentire soddisfatti: il “contentino”, d’altronde, non piace a nessuno. Il cinema, come scrive Marshall McLuhan, è un medium caldo, ed in quanto tale plasma le fantasie dello spettatore per condurle lì dove il regista desidera. Ma non solo, poiché la settima arte è in grado di veicolare tendenze, desideri, cambiamenti sociali ed inversioni di rotta più di quanto riescano altre tipologie di media. Raccontare la comunità LGBTQ+ non è semplice: messa da parte l’apparenza colorata, le discriminazioni e la violenza, agli occhi di chi non vi appartiene cosa rimane? Solo storie drammatiche o, dal lato opposto, un mondo iridescente che sembra aver perso il contatto con la realtà?
Il rischio è quello di cadere in una rappresentazione stereotipata: quella dell’uomo gay tipico delle sitcom anni ‘90, il miglior amico della protagonista che regala consigli d’amore e di moda come caramelle sottomarca e che, almeno una volta, deve consolarla dicendole che “gli uomini sono tutti uguali”. O, ancora, quella delle storie d’amore saffiche che portano con sé unicamente gelosia, possessione, ed altrettanto spesso una buona dose di bifobia. Tutte interpretazioni, queste, che esistono e che devono essere rappresentate, ma che non possono andare a costituire l’unica “versione dei fatti”: non agli occhi di un immaginario collettivo che dev’essere ancora educato.
Una rappresentazione LGBTQ+ degna d’esser definita tale è fondamentale per innescare quel processo di immedesimazione che fa sentire lo spettatore seduto in una sala di cinema parte di un qualcosa più grande di lui, lontano dal tedio della vita quotidiana. E come ci si può sentir rappresentati se, con più di otto miliardi di persone sulla terra, ci vengono presentati solo film con personaggi bianchi e cis-etero?