«Era importante far sapere che succede in Bielorussia, ho fatto ciò che potevo, non essendo fisicamente lì», risponde Alina Snitkova, giovane cittadina bielorussa, quando le viene chiesto cosa l’ha spinta a condividere giorno per giorno sui propri social le notizie riguardo la drammatica crisi politica che il suo paese vive da ormai due mesi. La Bielorussia è infatti scossa da proteste quotidiane contro il presidente Lukašenko, che ha imbavagliato l’opposizione e represso con violenza le richieste pacifiche del popolo, dimostrandosi degno dell’epiteto che da anni lo denota come “l’ultimo dittatore d’Europa”. La Snitkova ha raccontato la crisi con l’occhio di chi la vive sulla propria pelle, svelando la lotta senza armi di un popolo privato della libertà.
Come si sono scatenate le proteste in Bielorussia?
«Le proteste hanno avuto inizio il 9 agosto 2020, il giorno delle elezioni presidenziali. Per 26 anni la Bielorussia è stata governata dallo stesso presidente, Aleksandr Lukašenko: il suo governo è stato sempre caratterizzato da repressioni e scarsa libertà. Ad ogni nuova elezione, l’opposizione viene fatta sparire, tutte le candidature respinte. Inoltre, la Bielorussia è un paese in cui si respira ancora l’aria dell’Unione Sovietica: siamo l’unico stato europeo ad avere ancora la pena capitale, abbiamo la cosiddetta “legge sui parassiti”, che non tutela i disoccupati, perché così come nell’Unione Sovietica, non lavorare è un’onta.
Tuttavia quest’anno qualcosa è cambiato: si è candidata Svetlána Tichanóvskaja, la cui candidatura è passata perché il governo non si aspettava che il popolo avrebbe votato una casalinga, senza alcuna esperienza politica, che quindi non costituiva una reale minaccia. Invece, fin dai primi comizi, ha riscosso grande successo, grazie alla sua promessa di restare in carica massimo sei mesi, durante i quali avrebbe fatto scarcerare tutti i prigionieri politici e organizzato delle elezioni vere, libere e trasparenti. Il tutto si è inserito in un clima già teso dovuto alla cattiva gestione dell’emergenza sanitaria da parte del presidente, il quale sostiene che il Covid-19 non esista e che non bisogna prendere provvedimenti. Le persone si sono sentite abbandonate e non tutelate, fino a ritenere la Tichanóvskaja, donna del popolo colpita in prima persona dalla politica repressiva del governo , un riferimento. Il 9 agosto, dopo le elezioni, Lukašenko risultava vincitore con l’80% dei voti, mentre nei sondaggi preliminari e nei seggi esteri Tichanóvskaja era in forte maggioranza. In alcuni seggi senza polizia, sono stati filmati gli spogli e lei ha vinto. Io stessa non conosco nessuno, tra famiglia, amici e conoscenti che abbia votato Lukašenko. La prima protesta è nata dunque per ricontare i voti, perché i risultati erano inverosimili. La risposta è stata una dura repressione da parte della polizia con proiettili di gomma, manganellate, gas lacrimogeni, gettando nel caos anche chi non stava manifestando, ma si trovava lì per caso. Così la richiesta del popolo bielorusso è diventata, innanzitutto, quella di mandare via il presiedete e, in secondo luogo, la scarcerazione dei prigionieri politici e l’apertura di indagini contro il governo: contiamo moltissimi arresti ingiustificati, torture e violenze perpetrate ai danni dei cittadini, stipati nelle carceri sovraffollate privi di cibo e norme anti contagio, senza che nessuno riconosca queste azioni come crimini. Finora contiamo 7 morti.
Quei giorni sono stati terribili. La violenza veniva da una sola parte, perché il popolo ha manifestato in maniera pacifica, senza armi né aggressioni. Abbiamo addirittura creato dei fondi ai quali i membri delle forze dell’ordine che vogliono dimettersi possono attingere per mantenersi, per stare tutti dalla stessa parte. Purtroppo però la polizia bielorussa non ha più alcuna traccia di umanità, non hanno più pietà ed è impossibile convincerli a cambiare. Molti, mentre picchiavano cittadini innocenti, ridevano, si divertivano. Le cose sono un po’ mutate il 12 agosto, quando è nato il “movimento delle donne in bianco”: migliaia di donne di ogni età, vestite di bianco, sono scese in strada nel silenzio assoluto, brandendo nelle mani solo dei fiori. A quella vista la polizia ha dovuto fermarsi. Da quel giorno le donne hanno iniziato ad avere un ruolo maggiore. Ora pare che le condizioni nelle carceri siano migliorate e le torture diminuite. Ma le vittime sono ancora considerate colpevoli e subiranno processi, sanzioni e denunce. Ecco perché questa vicenda ha coinvolto tutto il popolo, c’è un altissimo livello di solidarietà; fuori dalle carceri hanno allestito dei campi di volontari che assistono coloro che man mano vengono rilasciati, con coperte calde, medicine, cibo e turni per accompagnare tutti a casa».
Qual è quindi il ruolo di Svetlana Tichanóvskaja per il paese?
«Lei è il simbolo del cambiamento e della libertà che la Bielorussia da tanti anni aspettava. Purtroppo è stata costretta a rifugiarsi in Lituania, dove le hanno offerto asilo politico. In Bielorussia sarebbe stata fermata, così come è successo a suo marito, in carcere da mesi perché membro dell’opposizione. È aiutata da altre due donne, altrettanto importanti: Veronika Tsepkalo, anche lei moglie di uno dei candidati costretti ad abbandonare la Bielorussia e Maria Kolesnikova, rapita il 7 settembre, la quale ha stracciato il proprio passaporto pur di non essere espatriata forzatamente e si trova ora in carcere con l’accusa di aver ordito un colpo di stato. Ecco perché da lontano Tichanóvskaja sta lavorando molto sul fronte estero, stabilendo rapporti con gli altri paesi Europei per ricevere aiuto da fuori. È importante parlarne negli altri stati, perché se il fuoco si spegne si potrebbe tornare al vecchio regime, se non peggio. Non possiamo finire nell’oblio».
Credi che i media europei abbiano dato la giusta importanza alla crisi bielorussa?
«No, purtroppo. Sono tante le persone che mi hanno scritto stupite perché non ne sapevano nulla. I media ne parlano, ma in modo molto superficiale e senza una posizione netta. Ad esempio, solo di recente il parlamento europeo si è espresso riguardo l’illegittimità del presidente e prima ancora non si ammetteva con certezza che i brogli fossero effettivamente avvenuti. Se ne deve parlare, non bisogna mai dimenticare di dare importanza al voto e partecipare attivamente alla politica, perché le conseguenze potrebbero poi essere devastanti, la Bielorussia ne è un esempio. La situazione è tremenda, si vive alla giornata, le persone si alzano la mattina e cercano notizie su internet perché i media bielorussi sono tutti governativi: le informazioni sono manipolate, sono solo propaganda che scredita i protestanti e i movimenti, definendoli corrotti e pericolosi. Ci sentiamo indifesi, abbiamo paura, non siamo tutelati. Ora si cerca di essere determinati, di non mollare, siamo ad un punto di non ritorno. Quello che ha fatto Lukašenko contro il suo popolo è imperdonabile ed è un crimine vero che non verrà mai dimenticato dal popolo bielorusso. Spero che il buono riesca a vincere, anche se ci vorrà tempo: ci sono buone possibilità che la pace vinca sulla violenza».
di Lucrezia Varrella