In uno scenario nazionale all’interno del quale, complice anche la mano di un governo assai conservatore, le discussioni circa l’identità di genere assumono caratteri sempre più conflittuali, l’Accademia della Crusca fornisce le proprie indicazioni per la scrittura di atti giudiziari riguardanti la parità di genere. Il Consiglio Direttivo della Crusca risponde al Comitato delle Pari Opportunità della Corte di Cassazione esprimendo il proprio disappunto circa l’uso della schwa, graficamente espressa con “ə“. «Da escludere nella lingua giuridica l’uso di segni grafici che non abbiano una corrispondenza nel parlato».
Il parere dell’Accademia della Crusca sulla schwa
Arriva finalmente la voce dell’Accademia della Crusca a fare chiarezza all’interno di un quadro socio-linguistico assai conflittuale che da tempo divide il paese. Da una parte è infatti forte la spinta innovatrice che propone di rinnovare la lingua al fine di “ripulirla” da un obsoleto retaggio patriarcale; dall’altra parte si oppone però la voce di chi, ricoscendo o meno le critiche mosse dagli innovatori, si rifiuta di apportare modifiche all’attuale apparato linguistico. Chiamati in causa dal Comitato delle Pari Opportunità della Corte di Cassazione sulla scrittura negli atti giudiziari, gli storici custodi della lingua italiana sembrano propendere decisamente per la linea “conservativa”.
«I principi ispiratori dell’ideologia legata al linguaggio di genere e alle correzioni delle presunte storture della lingua tradizionale non vanno sopravvalutati, perché sono in parte frutto di una radicalizzazione legata a mode culturali». A riportare il pensiero degli accademici è il Corriere della Sera che però continua: «queste mode hanno d’altra parte un’innegabile valenza internazionale, legata a ciò che potremmo definire lo “spirito del nostro tempo”, e questa spinta europea e transoceanica non va sottovalutata».
Le indicazioni da seguire secondo gli accademici
«Sentito il parere del Servizio di consulenza linguistica e del suo coordinatore, e dopo approfondita discussione in seno al Consiglio direttivo», l’Accademia della Crusca suggerisce in forma sintetica alla Cassazione una serie di “indicazioni pratiche”. Innanzitutto stop all’uso di schwa e degli asterischi: «È prevista l’esclusione dei segni eterodossi e la conservazione del maschile non marcato per indicare le cariche, quando non siano connesse al nome di chi le ricopre. La lingua è prima di tutto parlata, anzi il parlato gode di una priorità agli occhi di molti linguisti, e ad esso la scrittura deve corrispondere il più possibile. È da escludere nella lingua giuridica l’uso di segni grafici che non abbiano una corrispondenza nel parlato, introdotti artificiosamente per decisione minoritaria di singoli gruppi, per quanto ben intenzionati».
Da evitare anche le reduplicazioni retoriche: interventi che implichino riferimento raddoppiato ai due generi (es. “lavoratori e lavoratrici) . Sarà eventualmente possibile far riferimento al maschile plurale inclusivo. Infine, niente articolo davanti i cognomi di donne: nel caso non fosse riconoscibile il genere, potrà essere affiancato il nome di battesimo.
Più spazio alle professioni declinate al femminile
La retta via che l’Accademia raccomanda per garantire la rappresentatività di genere della lingua è quella di, citando testualmente, «far ricorso in modo sempre più esteso ai nomi di professione declinati al femminile». Questi nomi potranno essere facilmente ricavati con l’applicazione delle normali regole di grammatica.