48 ore, questo il tempo che ci è voluto per il secondo fallimento bancario negli USA. Dopo la chiusura di Silicon Valley Bank, il Tesoro e la Federal Reserve, ieri notte è stata disposta anche quella di Signature Bank. Questo evento segue lo stesso copione che ha causato il default di Svb. Ma cosa sta succedendo negli USA? C’è il rischio di un nuovo effetto del 2008?
Il caso Silicon Valley Bank
La Silicon Valley Bank (Svb), che è la sedicesima banca più grande degli Stati Uniti, è stata chiusa dalle autorità di regolamentazione venerdì, a seguito del crollo delle sue azioni. Tuttavia, le operazioni sono riprese ieri sotto la sorveglianza della Federal Deposit Insurance Corporation (Fdic) degli Stati Uniti. I depositanti assicurati hanno avuto accesso ai loro depositi assicurati ieri mattina, e gli assegni ufficiali continueranno a essere liquidati. L’assicurazione sui depositi significa che questi sono coperti fino a 250.000 dollari per depositante, per ogni banca assicurata dalla Fdic, per categoria di proprietà. La decisione è stata presa dopo che la banca, con sede a Santa Clara, ha riportato una perdita di 1,8 miliardi di dollari nella vendita di titoli del Tesoro degli Stati Uniti e titoli garantiti da ipoteca in cui aveva investito. La banca ha anche affrontato una riduzione dei depositi in un momento in cui l’industria tecnologica era in difficoltà, il che ha scatenato il panico e fatto crollare il prezzo delle azioni, portando alla corsa alla banca che detiene 210 miliardi di dollari di attività.
Signature Bank: un caso analogo ma diverso
Nel corso dell’ultimo anno, l’istituto finanziario Signature Bank, che è più piccolo rispetto alle altre attività bancarie di Svb, con soli 110 miliardi di asset, ha subìto un notevole calo dei depositi dei suoi clienti, passando da 106 miliardi di dollari a 88 miliardi. Questo ha causato un’uscita diretta di fondi pari a 18 miliardi di dollari, ovvero il 17% dei soldi dei depositanti. Tuttavia, ciò che preoccupa le autorità statunitensi sono le consistenti perdite registrate sul portafoglio titoli della banca. Si tratta di ben 21 miliardi di dollari classificati come “disponibili alla vendita”, i quali hanno subito una minusvalenza di 2,4 miliardi di dollari nel 2022.
Inoltre, vi sono ulteriori perdite sui bond governativi detenuti fino alla scadenza, pari a 765 milioni di dollari su un totale di 7,8 miliardi di dollari. A fine 2022, la banca ha riportato perdite sui titoli pubblici per oltre 3,1 miliardi di dollari, con una cassa di soli 5,9 miliardi di dollari e un capitale netto di appena 8 miliardi di dollari, il che ha portato il cosiddetto “Cet1” a poco più del 10%, una soglia di pericolo. Per evitare che le perdite sui titoli impattino fortemente sul capitale e spingano la banca a richiedere un aumento di capitale, che potrebbe minare la solidità della banca stessa e causare ulteriori fuga di depositanti, le autorità statunitensi hanno deciso di intervenire per spegnere sul nascere la crisi. Tuttavia, rimane da vedere se tale intervento lampo del Tesoro riuscirà a evitare l’effetto contagio, cosa non accaduta dopo il caso SVB.
Cosa aspettarsi dal futuro?
Sebbene sia ancora troppo presto per prevedere una crisi simile a quella del 2008, ci sono rischi sistemici che riguardano l’economia reale, soprattutto le aziende che devono rinnovare i loro debiti a tassi più elevati. Questo potrebbe causare la bancarotta di molte aziende e quindi l’insolvenza delle esposizioni bancarie. Ci sono timori che il rialzo dei tassi possa portare all’insorgere di problemi di insolvenza dei prestiti, un problema che ha segnato il periodo post-2008. Cosa aspettarsi quindi dal futuro, una nuova gigantesca crisi o un riallinearsi del fenomeno?