Un pallone d’Italia ‘90, un flacone di un detersivo riconducibile agli anni ‘80, un soldatino colorato diffuso tra i bambini nati a cavallo tra gli anni ‘70 e ‘60. Nella migliore delle ipotesi questo potrebbe essere solo un elenco casuale di oggetti in plastica ma, nella realtà dei fatti, è quel che possiamo trovare in una qualsiasi spiaggia del mondo. Alle scorse generazioni si raccontava con stupore il ritrovamento di oggetti risalenti alla preistoria o alle prime civiltà; alle prossime racconteremo con amarezza dell’eterna plastica restituitaci dal mare. Enzo Suma, guida naturalistica che vive e lavora a Ostuni in provincia di Brindisi, ha dato vita ad Archeoplastica, un progetto per sensibilizzare sul problema dell’inquinamento da plastica e promuovere un uso più consapevole e responsabile di questo materiale. Proprio come un archeologo, Enzo studia le centinaia di plastiche che invadono le spiagge pugliesi. Dal 2018 sono oltre 200 i rifiuti risalenti dai 30 ad oltre 50 anni fa.
Qual è l’idea di Archeoplastica?
«Principalmente sensibilizzare sull’uso e consumo della plastica. Utilizziamo quotidianamente un materiale destinato a durare tantissimo spesso per conservare cose che si consumano nell’arco di pochi giorni. Queste son cose che sappiamo da sempre ma un conto è sentirselo dire, altro vederlo con i propri occhi. L’idea di questo progetto, che si basa sul mostrare questi reperti, è quella di far capire qual è la conseguenza del nostro modello di consumo. Quando ho pubblicato la prima foto di un rifiuto si è creata nei commenti una discussione sul problema e son nate delle riflessioni importanti legate a esso. A quel punto ho capito che la mia presenza costante sulle spiagge poteva essere anche utile per creare una rete di sensibilizzazione».
Ogni anno si stima che finiscano in mare circa 9 milioni di tonnellate di plastica e, secondo alcuni studi, si crede che in un decennio potremmo ritrovare in acqua più plastica che pesci. Quanto è importante alimentare la consapevolezza nelle nuove generazioni?
«È fondamentale. Per fortuna, da quando è stato lanciato il progetto ho notato un incremento di attenzione anche sui social. Ricevo tanti messaggi dai giovani che mi fanno ben sperare, soprattutto quelli che prendendo spunto hanno iniziato a loro volta a pulire le spiagge e a cambiare le proprie abitudini. Ognuno di noi contribuisce a un’eccessiva produzione di plastica e, modificando piccole abitudini come sostituire lo spazzolino in plastica con quello di bambù; o ancora, evitare l’acqua in bottiglia prediligendo quella del rubinetto, possiamo arrivare a grandi risultati».
Credi che il decreto legislativo 196 dell’8 novembre 2021 entrato in vigore lo scorso gennaio sia un buon inizio ai fini della riduzione dell’utilizzo della plastica?
«Si poteva fare molto meglio, ma qualcosa si sta muovendo. Nella legge di adeguamento non abbiamo rispettato alla lettera quello che era prescritto dalla direttiva europea e, infatti, non sappiamo come evolverà la situazione. Non sappiamo se si provvederà con delle multe o altro. È giusto che l’Europa e tutti gli stati europei si impegnino per un cambiamento sia del nostro livello di consumo che in quello delle aziende responsabili della vendita di tali oggetti».
Qual è la cosa più assurda trovata in spiaggia?
«Prima che ne approfondissi la conoscenza ho trovato questa sorta di walkie talkie ricoperti di polistirolo. In realtà ho scoperto essere delle radiosonde metereologiche. Nel mondo ci sono circa 900 siti di lancio di queste sonde e, ognuno di loro, ne libera una due volte al giorno legata a un pallone in lattice. Queste sono conoscenze scientifiche fondamentali nel campo meteorologico, perché prendono dati lungo tutta la colonna d’aria e, da quel che ho potuto capire, son dati che non si riescono a prendere altrimenti. Si dovrebbe però trovare un’alternativa ai palloni in lattice. Altri oggetti strani sono per esempio le dentiere o un flacone strano con la forma di un clown di cui, l’unica informazione che abbiamo, è la provenienza dalla Grecia».
È importante ricordare che tutti possiamo fare la differenza, come precisato da Enzo, anche solo modificando le nostre abitudini quotidiane. Dobbiamo iniziare a restituire qualcosa alla Terra, rispetto soprattutto.