Giornalista, scrittore, insegnante, Antonio Trillicoso (in foto) è una personalità poliedrica, dedita ad ambiti culturali diversi legati da un unico filo conduttore: l’interesse per la società e i disagi che in essa convergono. Dopo un passato da giornalista, Trillicoso ha scelto di dedicarsi alla scrittura per dare voce alle problematiche sociali che affliggono il nostro territorio e per raccontare le difficoltà dei giovani che vivono un contesto come il nostro. «Mi considero uno scrittore social. Sono entrato nel mondo dell’editoria scrivendo “Io casalese”. È la storia di un ragazzo che vive le problematiche delle nostre zone ma riesce a prendere le distanze dal contesto che frequenta e dalla stessa famiglia, intraprendendo la strada giusta». Anche nell’ultimo lavoro prevale la sua dedizione per i ragazzi e per il contesto scolastico. Il titolo del libro, “La scuola fa più paura della giustizia”, fa già la sua parte. «Ho preso spunto da un discorso del magistrato Caponnetto in una scuola di Palermo. La scuola fa paura perché forma e accultura i ragazzi, ma soprattutto perché sviluppa un senso critico nei protagonisti della società del futuro a svantaggio della criminalità che si nutre di persone ignoranti e impreparate». Il senso è che il lavoro dei magistrati deve essere accompagnato dalla diffusione di messaggi di giustizia e legalità che un’istituzione come la scuola non può sottovalutare e che risulteranno essere socialmente molto più incidenti. Trillicoso nel libro analizza il funzionamento del meccanismo scolastico evidenziando come, nonostante i cambiamenti degli ultimi anni per le riforme e le leggi, la scuola deve continuare ad essere presidio di legalità e educazione. «Sono un insegnante, nel libro racconto realtà che veramente ho vissuto e vivo. Il percorso di formazione che si intraprende dietro ai banchi è essenziale per la crescita di un ragazzo, anche se da solo non basta. Per essere fecondo c’è bisogno dell’abbinamento con la famiglia e del sostegno dei genitori. La scuola serve per dare l’input, ha la forza e il potere di indirizzare verso il bene ma per raggiungerlo bisogna avere solide basi alle spalle».
Famiglia e scuola sono un connubio perfetto ma talvolta maledetto. Se lavorassero in sintonia e contestualmente si eviterebbero tante piaghe sociali, invece il malfunzionamento o dell’una o dell’altra innesca un meccanismo negativo che coinvolge l’intera società. È la mancanza di queste due istituzioni a generare ragazzi lasciati a se stessi, senza un obiettivo o una passione, che conoscono solo la via della malavita e della violenza. «Con i ragazzi non bisogna essere molto superficiali. I loro comportamenti e le loro scelte sbagliate derivano dagli insegnamenti e dagli esempi che hanno ricevuto. In questi casi bisogna agire anche sulle famiglie e sui genitori».
Non è semplice far avvicinare i giovani alla legalità e alla cultura, soprattutto quando ci sono situazioni che offuscano questi valori. Ma visto che è necessario, si deve ricorrere ad utilizzare strumenti, mezzi, tecnologie che hanno maggiore incidenza e che toccano i giovani più da vicino per riprendere una società che altrimenti va allo sbaraglio.
Tratto da Informare n° 178 Febbraio 2018