Osservazione e ragionamento, progresso e verità; è il distintivo identitario di un Paese intelligente, che crede in se stesso e in un futuro tecnologicamente avanzato, dove la medicina fa passi da gigante e i disastri ambientali si possono prevenire. Stiamo parlando della ricerca scientifica, quell’attività umana capace di favorire l’innovazione, la crescita e lo sviluppo della società in termini di conoscenza, progresso tecnico e scientifico. L’Italia, spesse volte, è fanalino di coda nelle classifiche di investimento in Ricerca e Sviluppo, ma soprattutto è terra arida per la meritocrazia che induce giovani menti talentuose a lasciare il Paese per cercare fortuna economica e professionale altrove. Infatti, in vista di Horizon 2020, strategia decennale proposta dall’UE nel 2010, basata su una visione di crescita intelligente, sostenibile e solidale, tutti i Paesi appartenenti all’Europa dovrebbero investire in R&S almeno il 3% del proprio PIL. Nonostante ciò, l’Italia, con l’1,25%, è poco più avanti a nazioni come Ungheria, Lituania, Malta e Lettonia, dietro a 17 Paesi, alcuni dei quali sfondano addirittura la porta del 3%, toccando punte elevatissime come Finlandia, Svezia e Danimarca. Come può uno Stato non rendersi conto dell’importanza della ricerca scientifica, capace, inoltre, di rendere ricco se stesso e non solo nelle tasche?! La ricerca, oltre a rappresentare un criterio di sviluppo, stimola la capacità di prevenzione, soprattutto in termini ambientali. Scienza e ambiente sono argomenti indiscutibilmente correlati. Ancora più importante ed interessante è quando si parla di Terra dei Fuochi. Perché non si è dato ascolto a ricerche preventive del passato? Perché le logiche economiche sono sempre anteposte alla salute dei cittadini? Qual è il nostro futuro? Come mai il registro dei tumori in Campania non è ancora operativo? Potrà mai lo Stato aprire gli occhi e riconoscere, oltre le sue colpe, anche i danni ai suoi cittadini? Abbiamo discusso di questo e tanto altro con uno dei massimi esperti nel campo della scienza e del settore ambientale, nonchè il dott. Antonio Giordano, medico napoletano nato nell’ottobre del ’62, oncologo, patologo, genetista, ricercatore, professore universitario e scrittore italiano, naturalizzato statunitense, coautore del libro “Monnezza di Stato. La Terra dei Fuochi nell’Italia dei veleni”, un’opera divulgativa scritta con il giornalista Paolo Chiariello in modo semplice e comprensibile, divulgando una realtà terribilmente complessa. Una battaglia di verità necessaria per conoscere ed invertire la rotta dell’autodistruzione. Insomma, Giordano è una vera e propria eccellenza del nostro Paese ed un orgoglio partenopeo nel campo della medicina mondiale.
Dott. Giordano, La Terra dei Fuochi può essere considerata l’ultimo capitolo di una serie di esperienze disastrose del nostro ecosistema locale a causa di una mancata informazione e di ricerche scientifiche magari chiuse volutamente nei cassetti dalle istituzioni?
«È giusto menzionare in tal caso Bernardino Ramazzini di Carpi ed il suo trattato “De morbis artificum diatriba” con il quale egli realizzò il primo studio al mondo sulle malattie professionali ed ambientali, costituendo di fatto la base della attuale medicina del lavoro. Più in particolare, descrisse le condizioni in cui venivano realizzati alcuni mestieri, le conseguenze che potevano derivarne relativamente alla salute e gli eventuali possibili rimedi. Una volta ottenuti questi dati, Ramazzini considerò anche le condizioni climatiche in cui queste attività lavorative erano o potevano essere poste in essere. Incrociando questi dati con i precedenti pose in essere un vero e proprio lavoro epidemiologico. Negli anni successivi, a Carpi venne creato il Collegium Ramazzini, su iniziativa del Prof. Irving J.Selikoff e del Prof. Cesare Maltoni. Mio padre Giovan Giacomo, con i suoi studi, contribuì, significativamente, allo sviluppo dei programmi di ricerca di questa Istituzione. Finchè fu direttore dell’Istituto Tumori di Napoli, egli, poté proseguire, con successo, programmi di ricerca. Tuttavia, quando fu rimosso a divinis dal suo incarico per aver denunciato brogli nell’ambito di un concorso per stenodattilografe dovette cedere la direzione dell’Istituto a medici privi di scrupoli che oltre a disinteressarsi della questione ambientale a dispetto di quanto dichiarano pubblicamente oggi, anteposero logiche economiche private alla salute del cittadino. Se avessimo ascoltato la voce di questi e di altri studiosi dediti all’ambiente certamente avremmo potuto evitare molte morti attribuibili a cause lavorative e ambientali. Tuttavia, senza voler essere pessimista, ma realista, ritengo che la terra dei fuochi non possa essere considerata un ultimo capitolo della scelleratezza umana».

Riprendendo una delle sue ultime frasi del Suo libro (Il futuro è da difendere. Ma ci stiamo riuscendo? ndr), Le chiedo: il nostro futuro è a rischio?
«Certamente è innegabile che il nostro futuro è meno a rischio di alcuni anni fa. Oggi, l’opinione pubblica è fortemente sensibilizzata rispetto alla questione ambientale in generale. La gente, per esempio, è più attenta a non inquinare e ad assumere stili di vita corretti per tutelare la propria salute e quella dei propri cari e, tanto, a cominciare da una sana e corretta alimentazione. Relativamente alla terra dei fuochi sono molti quelli che denunciano e/o presidiano con perseveranza il territorio, ma certamente c’è ancora molto da fare per una difesa sensata del futuro e, con ciò, mi riferisco alle carenze da parte delle Istituzioni regionali e comunali italiane che, nonostante tutto, rimangono, spesso, assenti ed incapaci di proporre soluzioni. Purtroppo, la corruzione presente nelle istituzioni politiche e amministrative rimane preoccupante».
Il registro dei tumori quando crede che entrerà finalmente in funzione in Campania?
«Impossibile fare una previsione. Il registro tumori avrebbe dovuto già essere operativo. È significativo, invece, che alcune notizie sono state reperite attraverso persone comuni che, sorprese dall’elevato numero di decessi nella propria zona di appartenenza, hanno cominciato a censire le morti e le cause delle stesse, realizzando, di fatto, in maniera artigianale, ma significativa, dei registri tumori. Certamente, i lavori scientifici di mio padre prima, di Alfredo Mazza e del mio gruppo di ricerca, poi, hanno sottolineato l’esistenza del problema tanto che oggi si cerca di correre ai ripari. Ciascuno nell’ambito delle proprie competenze, cerca di porre rimedio ad una situazione estremamente lacunosa venutasi a creare nell’arco di decenni».
La bonifica ambientale è importante. Tuttavia, non sarebbe più importante innanzitutto blindare queste aree, bonificarle e sottoporle ad un monitoraggio “speciale” che sia di prevenzione per queste zone a rischio?
«Concordo con il senso della sua domanda e anche a mio avviso bisognerebbe parlare di bonifica su più livelli. Il controllo del territorio è determinante così come è fondamentale la conoscenza delle sostanze inquinanti, che in alcuni casi, non esiste neanche. Ad oggi non sappiamo ancora che quali materiali tossici siano presenti nelle note ecoballe in provincia di Caserta».
Per lo smaltimento dei rifiuti, crede che sia arrivato il caso di puntare a tecnologie differenti, magari ad impatto zero?
«A mio avviso una buona raccolta differenziata e un riciclo costante dei materiali, come suggerisce il pensiero “zero waste”, sono da preferire a tecnologie che immettono nell’aria polveri estremamente sottili (nanopolveri) con una penetrazione di danno a livello cellulare ancora da studiare in maniera approfondita e che, sulla carta, potrebbe, comunque, contribuire al danneggiamento del DNA».
Sembra evidente che il nostro DNA, a seguito di numerosi attacchi ambientali, si sia in qualche modo indebolito. Molti prevengono il danno fuggendo. Noi vogliamo essere propositivi: restiamo qua ma viviamo sani, utilizzando prodotti della nostra terra ma pretendendo che siano certificati; bere acqua potabile dai rubinetti ma esigendo che ci siano monitoraggi continui. In tal senso, potremmo combattere quella mentalità corrotta che ha portato ad eventi delittuosi e mafiosi che si sono perpetrati in Terra dei Fuochi. Cosa crede in merito?
«Credo che la fuga sia inutile. Il problema dei rifiuti tossici non è solo campano, ma nazionale e mondiale. Aree inquinate e disabitate dell’Africa ne sono la conferma. Ecco allora che la fuga rappresenta una scelta inutile ed irreale. Pretendere controlli adeguati, invece, è sicuramente un diritto di ogni cittadino. Paradossalmente, la Campania rappresenta un modello di denuncia e di conoscenza. L’azione di delazione da parte dei comitati dei cittadini, della Chiesa e di un’informazione indipendente hanno finalmente scoperchiato un vaso di Pandora che da anni politici, imprenditori, medici e ricercatori corrotti e camorra tenevano gelosamente custodito nell’ombra per perpetrare, indisturbati, i propri affari».
In merito alle collaborazioni che stringe in America per lo studio della situazione ambientale in Campania? Possiamo affermare che New York si interessi più di Roma ai problemi della Terra dei Fuochi?
«Senza voler polemizzare dico che lo scienziato è per propria connaturazione mentale attratto dalla conoscenza. Ecco, quindi, l’interesse degli scienziati americani come Landrigan per la Campania che, provocatoriamente ho definito, qualche anno fa, per la prima volta: “un laboratorio a cielo aperto di cancerogenesi ambientale”. I politici, anche quelli che in buona fede, si propongono la risoluzione della questione ambientale, si trovano di fronte ad un problema immenso che richiede molteplici competenze oltre che ingenti risorse. La crisi economica di questi anni e una realtè politico economico frammentaria come la nostra non costituiscono una cornice valida per la risoluzione del problema».
Secondo Lei, lo Stato ammetterà mai le sue colpe, riconoscendo i danni a tutte le persone che hanno vissuto in queste terre martoriate negli ultimi 60 anni?
«Una sorta di ammissione viene già fatta dai politici attuali che scaricano colpe e responsabilità sui loro predecessori che, con la complicità di medici compiacenti, hanno sottovalutato e/o negato il problema. Mi sento di escludere, invece, risarcimenti danni, spontanei, da parte dello Stato. Significativa, invece, la sentenza Eternit che ha statuito la condanna di 11 ex manager del gruppo e la condanna del fratello di un notissimo oncologo italiano ed ex Ministro della Sanità».

Lei ha definito la ricerca come una compagna di vita ed è la stessa a poter rendere uno Stato ricco. Gli investimenti in Ricerca e Sviluppo sono sempre pochi in Italia, nonostante abbiamo i ricercatori migliori del mondo, tra i quali Lei ne è un esempio. Come può uno Stato non rendersi conto dell’importanza della ricerca scientifica?
«I Paesi più competitivi sono quelli maggiormente sensibili all’investimento in scienze e tecnologie. L’Italia, purtroppo, stenta ancora molto da questo punto di vista, incentivando, di fatto, l’esodo di tanti giovani brillanti in nazioni straniere. Il problema rimane il medesimo da anni. Formiamo ottimi elementi e li regaliamo all’estero dove migliori sono le condizioni di vita, ma soprattutto quelle economiche. Pochi giorni fa un ingegnere di una nota casa automobilistica mi raccontava del suo proposito di rientrare in Germania dove ha iniziato la sua carriera. Nonostante le sue competenze siano aumentate in Italia in termini di responsabilità e di impegno, qui da noi guadagna meno di quando era all’inizio della carriera in Germania».
Nel corso della sua carriera, si è anche distinto per aver studiato dei sistemi in grado di ridurre la crescita dei tumori. A che punto è la medicina per la prevenzione e la cura dei tumori?
«La mia scoperta di alcuni anni fa consiste nell’individuazione e nella clonazione del gene oncosoppressore PRb2, CDK9 e CDK10 che inibiscono e controllano i processi cellulari fondamentali. Queste scoperte hanno contribuito e contribuiscono a comprendere ed arricchire nuove metodologie nelle strategie per la diagnosi e la cura di malattie tumorali e non. Attualmente, la ricerca accresce quotidianamente le proprie conoscenze e rispetto all’individuazione del DNA da parte del Watson e Creek, sono stati compiuti passi da gigante. In molti casi riusciamo a controllare la malattia tumorale soprattutto quando è individuata in una fase iniziale. Siamo convinti, poi, che alla sua determinazione interagiscano una serie di fattori come quelli genetici e/o ambientali. È chiaro che ancora molto vi è da fare e che i prossimi anni potrebbero rivelarsi decisivi».
di Fabio Corsaro e Angelo Morlando
Tratto da Informare n° 149 Settembre 2015