Con Andrea Leccese, l’autore di “Massomafia”, cerchiamo di fare il punto sulla lotta alle mafie per prospettare scenari futuri.
Dottor Leccese, può dirci come secondo lei come si stanno trasformando ora le mafie e cosa possono diventare nei prossimi anni?
«La parola “trasformazione” è proprio quella utilizzata nell’ultima relazione della Commissione parlamentare antimafia. Oggi la mafia è sempre più “mafia imprenditrice”: incline agli investimenti nell’economia legale, forte delle immense disponibilità finanziarie che le derivano soprattutto dal monopolio del traffico di sostanze stupefacenti. Per questo i mafiosi hanno optato da tempo per la strategia dell’“inabissamento”: meno delitti efferati, meno minacce, ma più relazioni con i potenti, più affari. Le organizzazioni criminali costituiscono una componente strutturale dell’economia globalizzata».
Come legge il fenomeno di colonizzazione delle mafie, storicamente originarie del Sud, in città come Reggio Emilia e Milano?
«Non è un processo recente. In particolare, ho l’impressione che l’Emilia e la Lombardia siano state teatro soprattutto di “infiltrazioni” nell’economia legale. L’obiettivo del “profitto smodato” accomuna senza dubbio i mafiosi a tanti imprenditori del ricco e produttivo Nord».
Vuole spiegarci come mafie e massoneria possono allearsi per interessi comuni e come questo possa danneggiare, agli occhi dei cittadini onesti, la vita democratica?
«Non è difficile intuire quanto possa essere vantaggioso per questi delinquenti tessere in gran segreto relazioni con imprenditori, dirigenti pubblici, magistrati e professionisti che frequentano i circoli della “massoneria deviata” (uso l’aggettivo “deviata” perché è corretto fare questa distinzione). Anche per certi colletti bianchi può essere conveniente conoscere i mafiosi, che sanno offrire spesso servizi molto efficaci. È minata la qualità della democrazia: ai cittadini onesti non farebbe certamente piacere scoprire che una certa decisione pubblica sia dettata dagli interessi di un’organizzazione criminale».
Cosa si aspetta dalla Commissione Parlamentare d’inchiesta, da pochissimo a Palazzo San Macuto, e quali secondo lei le priorità che meritano attenzione?
«Che faccia il possibile perché la lotta alla mafia sia una priorità assoluta nella famosa “agenda politica”. Dobbiamo combattere la corruzione, che costituisce oggi per i mafiosi lo strumento privilegiato per aggiudicarsi gli appalti. Va sicuramente stimolata l’applicazione sistematica delle misure patrimoniali: il fine principale delle indagini antimafia deve essere la confisca dei beni».
La “Decima Azione” condotta nella città di Foggia ha portato a 30 arresti per mafia. Gli odierni indagati hanno imposto non solo il pagamento mensile di somme di denaro, ma hanno anche obbligato i commercianti ad effettuare prestazioni professionali gratis. Vuole descriverci brevemente quale sia “l’humus” entro il quale sarebbe stata costituita la cosiddetta “Società foggiana”?
«Questa organizzazione mafiosa nasce negli anni 80’ e oggi patiamo le conseguenze di tanti anni di irresponsabile sottovalutazione da parte degli apparati dello Stato. Tanti anni di impunità si sono naturalmente tradotti in sfiducia della popolazione verso la giustizia. Il soggiorno obbligato di diversi boss di Cosa Nostra, ’ndrangheta e camorra è stata una decisione pubblica, dettata dall’idea geniale che si potessero recidere i legami del camorrista con la camorra trasferendolo dalla Campania alla “lontanissima” Puglia».
di Antonio Di Lauro