Lorenzo Balducci, nelle scorse settimane, ha portato nel Nolano a “La Festa dei Folli”, il suo spettacolo dal titolo “Allegro, non troppo”, scritto da Riccardo Pechini con Mariano Lamberti. Un progetto di stand up comedy che ha visto Lorenzo, noto anche per la partecipazione a diverse fiction di successo, impegnato sul palco nell’accompagnare il pubblico alla scoperta di vizi e virtù della comunità LGBT. Senza tralasciare momenti intimi ispirati ad elementi strettamente biografici. In occasione della rappresentazione, Lorenzo ha così raccontato, a noi di Informate, il suo spettacolo.
Qual è il successo del tuo spettacolo?
«Un’alta dose di onestà nel raccontare la comunità LGBT ed una storia personale, ci metto la faccia. Hanno voluto coinvolgere me, pensavano che fossi la persona giusta per fare un collegamento tra la mia storia e quella della comunità. Sentivo di poter fare questo spettacolo. Tante prove mi hanno dimostrato che ci si può avvicinare a tutto se si fa con impegno, umiltà e determinazione».
Qual è il filo conduttore di “Allegro, non troppo”?
«Lo spettacolo è molto comico, ma non è solo questo. Nella seconda parte dello spettacolo, si entra più in profondità, nelle dinamiche della mia vita, che sono simili a quelle di tanti altri ragazzi. Mantenendo un tono da stand up comedy si vanno a toccare delle corde, che sono meno allegre; c’è l’altra faccia della medaglia, che dà valore a tutto ciò che viene prima, al contrasto di comicità, alla crudezza della vita».
Che tipo di feedback ricevi al termine dello spettacolo dal pubblico?
«Mi capita spesso di ricevere messaggi la sera dello spettacolo, di persona, sui social di coloro che escono dal teatro con tanti pensieri in testa, partendo dal fatto che si siano divertiti molti perché è uno spettacolo che per loro solleva questioni, li obbliga a soffermarsi su degli aspetti anche della loro vita. Il ringraziamento più bello è quello di averci messo la faccia».
Quanto possono fare spettacoli del genere per sensibilizzare sulla tematica trattata?
«Può fare tanto, nella maniera più ironica e dissacrante. Si veicola un messaggio, la condivisione di qualcosa che dovrebbe aiutare tutti a mettersi nei panni degli altri, con rispetto».
Spesso sei a Napoli: cosa ti lega a questa città?
«Ho lavorato a Napoli anche in occasione di altri spettacoli. Ho ricordi bellissima dell’atmosfera fuori e dentro al dentro. Napoli per me è una giungla nel senso più bello del termine. Vengo da Roma che, comunque, è una città grande, complessa. Napoli è potenziata rispetto ad altre città italiane. Da artista io lo assorbo, sia sul palco che fuori dal palco. I feedback da parte delle persone arrivano in maniera diretta. C’è sempre molta nostalgia quando lascio questa città».
Che importanza assumono contesti, come questo di Nola, per una rappresentazione da tematiche attuali?
«Per me qui si nota il lavoro dell’attore a contatto con il pubblico, quello più puro. L’avevo già sperimentato a Napoli in un tipo di teatro che mi obbligava ad essere a stretto contatto con il pubblico. In contesti come questo, dove tutti siamo in un ambiente piccolo, intimo, privato, in realtà, a differenza anche di altri attori che possono sentirsi in difficoltà, per me è di aiuto, perché vengo da queste realtà. Avere il pubblico accanto è bello».