muro di berlino

9 Novembre: il Muro non è mai caduto

Redazione Informare 09/11/2022
Updated 2022/11/09 at 6:54 PM
5 Minuti per la lettura

Nove e undici. Due cifre, due espressioni numeriche di una Storia che fa sempre ritorno sul luogo del delitto, in eterno ritorno su se stessa, nove e undici come nove novembre, ma anche come undici settembre, se si legge all’americana.

In entrambi i casi c’è qualcosa, qualcosa di enorme, che viene giù, a cambiare le cose umane, che percorrono un filo sottile lungo il quale tutto si tiene. Ma se le due torri sono crollate – lo abbiamo visto in mondovisione – il Muro no.

“Il bene da una parte, il male dall’altra”

Non era la fine degli anni Ottanta – iniziati male e finiti bene, no? – era la fine del più breve dei secoli, disse qualcuno, era la fine del mondo finora conosciuto, un mondo spaccato in due spicchi di uguali dimensioni, i buoni da una parte, i cattivi dall’altra, il male e il bene divisi da quattro metri di cemento armato e cecchini pronti a fare fuoco.

Il Muro tagliava in due Berlino, ma non il suo cielo e gli angeli che lo attraversavano, ad ascoltare i pensieri e le voci della gente, proprio come gli addetti alle intercettazioni della Stasi, con le cuffie che non trasmettevano punk ma vite intere, tutte uguali, tutte in fila, accalcate alla metropolitana, silenziose nei cappotti, all’ombra del martello e del compasso della DDR.

Seconda metà degli anni Settanta, in Germania era autunno, pieno. Deutschland in Herbst, film corale di Fassbinder e di altri giovani registi, raccontò i loro anni di piombo, l’MP5 della RAF puntato alla testa di Hans-Martin Schleyer anticipò di qualche mese il nostro Affaire Moro. Fu allora che David Bowie scelse Berlino per smetterla con la cocaina e per sperimentare le avanguardie musicali con Brian Eno. Al 155 di Hauptstrasse abitava anche Iggy Pop. Ed ecco il cameo del Duca Bianco nei Ragazzi dello zoo di Berlino, e quella Heroes sullo sfondo di una generazione tossica che non smette di correre e di cadere lungo i corridoi della notte berlinese.

Dietro The Wall, c’è l’uomo che sceglie di stare al di qua del muro, che lo isola, ma lo protegge da ciò che sta dall’altra parte.

I, I will be king, and you will be queen, come a dire che tutto può accadere, sebbene just one day. La bandiera della vittoria ancora a sventolare sulle rovine del Bundestag. Sotto il bunker i gerarchi con le pistole ancora infilate nella bocca. I pugnali insanguinati delle streghe ballerine di Suspiria.

In quegli anni, a Berlino, c’era anche Giovanni Lindo FerrettiPunk Islam non era che un graffito lasciato da chissà chi, a significare chissà cosa. No, il Muro non può essere caduto, se siamo qui, se siamo così, lo dobbiamo al Muro. L’opera rock dei Pink Floyd non poteva che uscire nel Settantanove, sul bordo di un secolo che stava per finire. Dietro The Wall, c’è l’uomo che sceglie di stare al di qua del muro, che lo isola, ma lo protegge da ciò che sta dall’altra parte. Pink ne aveva paura, noi non dobbiamo.

Non è caduto il Muro. Ancora ci divertiamo a risalirlo, a camminarlo come bambini di strada. Tutto quello che noi siamo, che ascoltiamo, che leggiamo, che cerchiamo è nato lì, da quel mondo spaccato in due, come una mela che non è l’anagramma di “male”.

Il Muro è ancora lì

Piccola digressione in forma di invettiva. La generazione di artisti, di ogni forma di arte e di espressione umana, quella generazione nata nel Dopoguerra ed è esplosa tra i Sessanta e gli Ottanta, ha ancora tutto da insegnare a questo presente, un presente che dura da decenni. Questo presente che si permette di liquidare come boomer chi è nato e vissuto in quello scorcio di Novecento. Boomer, come dire, poveri cristi segnati dal tempo, materiale obsoleto, roba superata, disfunzionali digitali. Nessun nostalgismo d’accatto, solo consapevolezza e coscienza di ciò che è stato, di quanto è valso e vale ancora, adesso, enormemente.

Il Muro è ancora lì, a dividere Berlino e un tempo che – malgrado tutto – non è ancora finito. Il Muro è il nostro limite, senza di lui non ci sarebbe niente da superare. E da immaginare.

Elio Di Domenico

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