Fresco di stampa il nuovo libro del geologo Antonio D’Anna,“Un Vulcano di Pensieri”, a cura della MREditori. Si tratta di una silloge poetica che, come si può dedurre dal titolo, nasce come grido di insoddisfazione.
In molte poesie, come “Nella stanza”, “Prigioniero”, “Nessuno”, “Bordeline” e tante altre, l’autore evidenzia in maniera icastica le difficoltà incontrate, soprattutto dai geologi (quelli giovani ma anche i più anziani) nel trovare lavoro, inserirsi, nel cambiare strada o addirittura nell’intraprendere la libera professione. Le cause sono da ascrivere a numerosi fattori analizzati e manifesti in alcuni componimenti, aneddoti e denunce. A rimetterci è una cospicua fetta di giovani che, sebbene titolati e muniti di spirito di sacrificio, debbono limitarsi, se fortunati, a mere opportunità. E dipanare questa condizione appare, in molti componimenti, quasi impossibile.
Al contempo, però, in taluni versi, in talune frasi, è possibile cogliere la speranza che sia la situazione del mondo del lavoro in generale che del mondo geologico della libera professione, possa migliorare. Come ne “La partita di pallone”, ove, nonostante si corra senza costrutto e senza raggiungere una meta stabile e dignitosa, trapela un alone di ottimismo alla fine del componimento (che si chiude con un ho ancora tanto fiato). E ancora in “Non fermarti”, in “Mai dire ormai”, affiora la forza di non mollare e di andare avanti, con l’aiuto anche della famiglia e della fede (“Croce e delizia”, “L’Arco e il Santo”, “Un sorriso di pace”) che corroborano e leniscono l’ingiustizia sociale vigente e l’animo di chi la vive quotidianamente.
Non mancano altre tematiche trattate come l’amore, importante nella vita di ogni individuo, Avella, paese natío, e il Cilento, seconda casa dell’autore; inoltre, denunce “geologiche” e sociali in generale.
L’autore spera che il libro costituisca una sorta di volano del cambiamento, così come evidenziato ne “La speranza è l’ultima a morire”, in cui, nonostante il marcio della libera professione, dei compromessi, degli sbattimenti, egli si augura che la società granitica, dura come il diamante, difficile da scalfire nei propri schemi consolidati, possa, appunto, subire una sterzata dirimente. Sterzata inferta da ogni singolo cittadino.
“Nella stanza” rappresenta il componimento emblema della condizione interiore dell’autore.
Nella stanza egli vive, solitario, il disagio e l’ingiustizia quotidiana. Cerca soluzioni sebbene non trovi vie d’uscita. In uno scatto d’ira, il bersaglio è la parete del muro che sommessamente accetta il colpo dei pugni ad essa inferti. L’autore, invece, seppur ferito, non si dà per vinto. E continua la sua lotta sperando in un risultato finale.
Nella stanza
Botta e risposta,
in cameretta.
Ore ed ore,
quante parole.
Ragionamenti,
anche turbolenti.
Tanti confronti,
piovono paragoni.
Sono logici,
filano.
E perciò pungono.
Si riflette
nella stanzetta.
In aggiunta le mani,
è un gesticolare.
Ritmico e nervoso.
Accompagna fedele il discorso.
Ponderoso.
Passeggiano smaniosi i pensieri
malvolentieri.
Vorrebbero fermarsi,
riposarsi.
Come i piedi.
Invece…
Si gira nella stanza,
i passi vorticosi,
ci si danna.
Chiacchiere, chiacchiere.
I toni crescono,
si fa baccano.
Vola qualche pugno,
tuona il muro.
Shhhh!! Silenzio!
Qualcuno sente.
Chiusa è la porta
ma poco importa.
Gli altri sanno.
Che tra le quattro mura
non ci sono persone.
È un soliloquio.
Ascolta silenziosa la parete
i soliti grovigli della mente.
Se potesse parlare,
esclamerebbe: “Ma ti vuoi calmare?”.
È trattata male.
Lascia sfogare.
Resiste,
l’urto attutisce.
Nessuna crepa.
Sopporta l’ingiustizia, sommessa,
non ha nessuna colpa,
accetta.
È illesa, indenne,
Io, no.
Sono ferito.
Sono ribelle.
Teresa Lanna
(amoreperlarte82@gmail.com)