Possiamo dichiarare, senza ombra di dubbio, che il 2020 è stato un anno ombroso. Sembra banale ripercorrere tutto l’anno ma è fondamentale per avere un’idea concreta di ciò che abbiamo trascorso: minacce di una terza guerra mondiale, incendi boschivi in Australia, conferma da parte del governo cinese dello scoppio di un’epidemia; tutto ciò nel solo mese di gennaio 2020, davvero estenuante.
Innegabilmente tutto l’anno è stato rigido con limitazioni e continue chiusure.
Tuttavia la domanda che nei social sta spopolando è: chi ha subito tutte queste limitazioni?
La famosissima, e spesso citata, generazione Z, ossia la generazione che va dal 96′ al 2010. Quelli nati con il cellulare tra le mani, internet “nel sangue” ma le scuole, le università, i bar e le piazze le abitava intensamente.
Sin dall’inizio, ovvero da marzo 2020, alla chiusura totale delle scuole ci fu un principale allarme: non abbandoniamo i bambini e i ragazzi e la loro salute mentale. Il dibattito pubblico si è molto focalizzato sulla seguente domanda: la scuola è fonte di contagio? Si o no?
Bisogna analizzate i dati che nel corso dell’anno scolastico hanno riscontrato diversi “inceppi”. Eppure, ciò che dovrebbe importante in modo particolare, non viene mai menzionato. È importante capire se la scuola è un luogo di contagio o bisogna identificare qualsiasi strategia affinché possa essere messa in sicurezza?
Secondo il presidente dell’Ordine degli psicologici, David Lazzari, in un momento storico come questo gli studenti hanno un bisogno concreto di ascolto, aiuto per affrontare la mancanza di socializzazione. Infatti a pochi mesi dal primo anniversario della DaD, con poche alternanze d’entrata, si riscontrano i primi effetti.
L’Asl in Toscana ha registrato un incremento del 10% di accessi al pronto soccorso per attacchi di panico, gravi picchi di depressione nei più giovani mentre, per i ragazzi tra i 12 e 18 anni, c’è un aumento di suicidi e autolesionismo. Un’ulteriore studio, attraverso i dati raccolti, arriva alla conclusione che il lockdown è stato risentito in modo particolare dagli under 50 mentre per gli anziani la situazione, di solitudine, resta invariata.
Il 55% degli italiani afferma di soffrire di solitudine; ben il 32% nella fascia tra i 18 e i 34 e con il 21% nella fascia dei 55 anni in su. Cercando di arrivare ad una conclusione non definibile “felice” ma almeno “istruttiva”, possiamo porci degli obiettivi: prendere atto dei nostri sentimenti qualsiasi essi siano.
Naturalmente ciò non equivale a lamentarci all’infinito senza far niente ma accettare delle risposte che possono sembrare piccole o addirittura banali, ma così non sono. Interroghiamoci sui nostri sentimenti e il nostro stato d’animo: la colpa è della pandemia in corso? Tirate un sospiro di sollievo, è la miglior cosa che potesse capitare.
Ora bisogna annientare il tabù del sentirsi male e chiedere aiuto. A specialisti in casi clinici e patologici; a noi stesse, alla famiglia, agli amici in caso governabili. La pandemia in quest’anno ci ha preso sottogamba aspettiamo che finisca e nel frattempo costruiamo noi stessi, la nostra mente e le nostre idee per affrontare al meglio ciò che verrà.
di Rosa Cardone